News/Approfondimenti > 02 novembre 2022

Benessere organizzativo e rischi psicosociali

di Tiziana Callovi

Si parla molto spesso di benessere, il termine è utilizzato negli ambiti più diversi e da tempo è entrato a far parte anche del lessico organizzativo, seppure con confini non sempre ben definiti. La letteratura scientifica evidenzia che avere collaboratrici e collaboratori soddisfatte/i garantisce maggiore motivazione, performance migliori e minori tassi di assenteismo. Per questo si è reso sempre più necessario creare ambienti di lavoro stimolanti, che favoriscano l'ingaggio, la crescita personale, la valorizzazione dei talenti e l'autorealizzazione.

Con "benessere organizzativo", infatti, si intende "la capacità di un'organizzazione di promuovere e mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle/i lavoratrici/ori in ogni tipo di occupazione" (Avallone e Bonaretti, 2003).

Sono state individuate molteplici dimensioni che incidono sul benessere organizzativo, tra cui l'ambiente di lavoro, la chiara definizione degli obiettivi, il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze, l'ascolto, la creazione di un clima relazionale collaborativo, la giustizia organizzativa e la prevenzione dei rischi professionali. La felicità lavorativa è strettamente legata anche a concetti quali il coinvolgimento, il senso di appartenenza e l'impegno personale nel lavoro. Tanto più una persona sente di appartenere all'organizzazione in cui presta servizio - perché ne condivide i valori, le pratiche, i linguaggi - tanto più trova motivazione e significato nel suo lavoro.

Talvolta, tuttavia, negli ambienti di lavoro si innescano condizioni sfavorevoli. Inadeguate modalità di progettazione, organizzazione e gestione del lavoro, unite a un contesto lavorativo socialmente arido, possono causare disagio e, nei casi più estremi, arrecare danni fisici e psicologici alle/i lavoratrici/ori. Si tratta dei cosiddetti “rischi psicosociali” (Cox e Griffiths, 1995), che possono generare fenomeni come lo stress lavoro-correlato, ma anche burnout, workhaolism, straining, mobbing, molestie e stalking occupazionale.

Il decreto legislativo 81 del 9 aprile 2008 (Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) va nella direzione di promuovere la rilevazione del disagio lavorativo, prevedendo all'art. 28 che “la valutazione dei rischi […] deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato […]”. Dunque, rilevare per intervenire, se necessario, ma anche creare cultura della prevenzione.

La tendenza delle organizzazioni, purtroppo, è ancora molto spesso quella di occuparsi della cosiddetta prevenzione terziaria, ovvero quella di “curare” situazioni ormai degenerate. Sarebbe invece molto importante agire sulla prevenzione primaria, cioè sui molteplici fattori di contenuto e di contesto del lavoro alla base dei rischi psicosociali e sulla prevenzione secondaria che, ad esempio, attraverso la formazione, consente di acquisire metodi e strumenti per affrontare in modo adattivo le situazioni difficili e stressanti.

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