News/Approfondimenti > 23 settembre 2015

Ecco i working poors, occupati a basso reddito

Corriere del Trentino

L'ultimo libro di Saraceno, focus sulla povertà europea. «Riportare il welfare al centro»

Trento Famiglia, Stato, comunità. precarietà reddituale, contrattuale, valoriale. Le facce della povertà sono, oggi più che mai, decisamente ampie rispetto alla sola insicurezza lavorativa e, dunque, economica. A riflettere sulle conseguenze di una crisi ormai quasi decennale, è Chiara Saraceno, honorary fellow al Collegio Carlo Alberto di Torino, già membro della Commissione italiana di indagine sulla povertà e l'emarginazione ed esperta di questione femminile, sociologia della famiglia, sistemi di welfare e, appunto, povertà. Al tema, infatti, ha dedicato il suo ultimo libro «Il lavoro non basta.

La povertà in Europa negli anni della crisi» (Feltrinelli, 2015), presentato ieri nel corso del seminario organizzato da lares, la scuola di formazione sulle relazioni industriali promossa da cgil, cisl, uil del Trentino. Uno studio che, partendo da quei 124 milioni di europei a rischio povertà certificati dall'Eurostat nel 2012, pari a circa il 25% della popolazione (con un + 8% in soli 4 anni dal 2008), passa in rassegna le leve che impattano su tale indice. E dunque: quanto contano le relazioni familiari? Quanto l'allungamento della vita? E la provenienza geografica? «Non possiamo non interrogarci di fronte a tali evidenze: nel nostro Paese, l'ii% della popolazione è a rischio di povertà ed esclusione sociale e questa situazione non cambierà nei prossimi anni, non torneremo mai alla domanda di lavoro del 2006. Pensare, dunque, che un aumento dell'occupazione possa generare automaticamente un calo della povertà rischia di essere un'illusione» chiarisce la docente, specificando che «il lavoro non basta anche perché non c'è abbastanza lavoro retribuito». Ecco, dunque, l'avanzare della categoria dei cosiddetti Working poors, ovvero di coloro che lavorano ma con bassa, bassissima, retribuzione: singoli, per lo più donne o giovani, che percepiscono uno stipendio al di sotto del livello minimo convenzionale o intere famiglie la cui ricchezza spalmata su tutti i componenti del nucleo diventa insufficiente.

«Ciò che mi preoccupa è, soprattutto, che la povertà ha iniziato ad aumentare ancora prima della crisi del 2008, quando cioè abbiamo smesso di essere competitivi, iniziando a offrire lavoro di bassa lega, poco qualificato e asimmetrico» riprende Saraceno che, con un'attenta ricostruzione dei principali indici economici e delle risultanze sociali in Usa e in Europa, ha messo in evidenzia come il rischio di vulnerabilità sia particolarmente alto nelle famiglie monoreddito e come proprio la famiglia spesso rischi di diventare causa di povertà, specie per i più piccoli. «L'Italia registra uno dei tassi più alti di povertà minorile e, di contro, siamo il Paese che se ne preoccupa meno» ribadisce, specificando come l'inefficienza delle politiche pubbliche, che negli ultimi anni hanno avuto un orientamento unicamente lavoristico, non facciano che peggiorare la situazione. «Una condizione che potrà essere invertita solo se -conclude -- riporteremo il welfare al centro del dibattito pubblico».

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