News/Approfondimenti > 03 ottobre 2014

Treu: ''Sindacato in difficoltà con i giovani''. Il commissario Inps: ''Servizi all'impiego, in Trentino già ottimi standard''

Corriere del Trentino

L'intervista Il docente giudica sbagliata la reazione delle parti sociali alle dichiarazioni di Renzi: «Atteggiamento da cambiare»

TRENTO - E' l'uomo che ha firmato le principali riforme del lavoro e delle pensioni in Italia negli anni '90.

Il neocommissario scelto dal governo per guidare l'Istituto nazionale di previdenza sociale in un momento storico delicatissimo.

Tiziano Treu, 75 anni, professore ordinario di diritto del lavoro all'Università Cattolica di Milano e membro di quel Cnel che il disegno di legge Boschi ha soppresso a inizio agosto, sulle «scelte difficili» imposte dai «tempi duri» ha molto da dire.

«Inutile arroccarsi su posizioni stantie. Serve dialogo, non risentimento» sostiene il professore, che sabato sarà a Trento per concludere il convegno nazionale dell'Aisri (Associazione italiana di studio delle relazioni industriali) dedicato a «concertazione e contrattazione territoriale», prendendo spunto dal volume «Tempi duri, scelte difficili.

I sindacati in Europa occidentale» di Richard Hyman e Rebecca Gumbrell-McCormick. Professore, nelle scorse settimane abbiamo assistito a uno scontro molto forte tra il premier Matteo Renzi e i sindacati.

«Sì, ma si è concluso con la mano tesa del premier. La decisione di Renzi di riaprire la Sala Verde di Palazzo Chigi e dunque un confronto con i sindacati va nella giusta direzione. Oggi, più che mai, è necessario interagire: le rappresentanze, per prime, devono cambiare atteggiamento».

In cosa ha sbagliato il sindacato?

«Ha molte difficoltà, è innegabile, in Italia così come nel resto dell'Europa. Innanzi tutto, rappresenta lavoratori ormai maturi, non è riuscito a intercettare le nuove categorie sociali e occupazionali, creando attorno a sé un alone di disinteresse e scetticismo. Ma, soprattutto, difetta di innovazione e modernità».

La modernità passa attraverso la cancellazione dell'articolo 18?

«No, certamente. Non è questa l'unica e neanche la più importante delle riforme previste dal Jobs Act. Certo, può essere un modo per dare più sicurezza alle imprese, specie alle più piccole, che in molti casi sono spaventate dall'incertezza lasciata dalla riforma fornero, ma non è questa la priorità alla quale guardare».

Su quali leve sarebbe giusto agire, allora?

«Sugli ammortizzatori e sui servizi all'impiego. Tutti strumenti che in parte sono previsti nella legge delega e che in alcune regioni, come ad esempio il Trentino, presentano già ottimi standard. Non tutti i territori sono uguali ed è evidente come nonostante la crisi ci siano ancora migliaia di posti che nessuno reclama. Perché? Perché manca mobilità sul territorio. Bisogna rendere i centri per l'impiego realmente efficienti come in Germania: per riuscirci è fondamentale sostenere azioni molto precise in ambito locale».

È la globalizzazione che ha messo in ginocchio la contrattazione sindacale nazionale?

«Indubbiamente. È uno dei problemi più ostici per il sindacato. La concorrenza internazionale ha spostato fortemente la dinamica della contrattazione a livello aziendale, d'impresa. Diventa quindi fondamentale il ruolo svolto dagli attori locali. Il Trentino, anche in questo caso, può essere d'esempio: pensiamo alle pratiche di welfare territoriale, di previdenza complementare, che ha adottato in passato. Anche gli orari delle attività lavorative, ad esempio, possono essere adattati a ogni singola realtà. Ecco, molti territori dovrebbero agire allo stesso modo, specializzandosi, creando politiche economiche ad hoc. Perché, nella competizione globale, solo chi saprà puntare su una o più specificità potrà pensare di uscire vittorioso dalla sfida posta dai "tempi duri"»

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