News/Approfondimenti > 19 febbraio 2005

MIGRANTI, cioè tutti noi

Bernardi: l’identità va bene, se non diventa febbre Dall’apartheid sudafricano al Trentino di confine. di STEFANO PIFFER

TURISMO CONSAPEVOLE: ''Viaggiare, con rispetto''. TRADIZIONI E FUTURO: ''La vita è cambiamento''

Professor Bernardi, sembra quasi un controsenso, eppure già dal titolo della sua lectio magistralis emerge un dato particolare. Il termine ''etnicità'' non esiste…

''È vero, non esiste, in quasi tutti i vocabolari e nei dizionari la parola non viene riportata. Essa è la forma astratta del termine ''etnia'' e, come ogni vocabolo, deve essere usato con proporzione. A cosa si riferisce? Al rapporto caratteristico di ogni persona la quale mantiene dei legami con il proprio passato. Un’eredità che deriva dai propri padri, come la lingua, la storia, la cultura. E in più è il futuro che si apre dinnanzi''.

Etnia da una parte, identità dall’altra. Chiariamo questo rapporto…

''L’etnia sta alla base dell’identità. Ognuno di noi è identico a se stesso, ma tutti siamo diversi gli uni dagli altri. L’identità è in continuo mutamento, cambia forma di volta in volta e non è mai uguale a quella di qualcun’altro. Mentre io sto parlando, ci sono delle persone che ascoltano, eppure nessuno giunge alle stesse conclusioni, visto che ognuno elabora il concetto autonomamente. Un altro esempio. Se lei dice ''casa'' che cosa intende? La città dove abita, la strada in cui c’è la sua abitazIone, l’edificio, una stanza in particolare? Possono essere tutte queste cose, che mutano di volta in volta''.

Lei ha parlato di anche di orgoglio etnico e della sua pericolosità.

''Tutti quanti siamo presi da un orgoglio etnico, l’etnocentrismo che spinge ciascuno ad appartenere a un gruppo. L’importante è non sfociare in estremismi. In questo caso si parla di etnocentrismo patologico''.

Come si manifesta?

''Non esiste un termometro che segnala la ''febbre etnocentrica''. Guardi, quando lei ravvisa un’espressione volgare, in questo caso si trova di fronte a una degenerazione. Quando diamo a qualcuno della bestia o del ''polentone'' con intenti cattivi perché lo vediamo diverso da noi, in questo caso si può parlare di patologia. Uno degli episodi che maggiormente fotografano questo desiderio di additare e allontanare coloro che sentiamo diversi da noi l’ho vissuto in Sudafrica dove mi ero recato a studiare. Un giorno sono andato alla posta, dove solitamente c’era uno sportello unico. Eppure questa volta ne trovai due, con un solo addetto. Uno di questi sportelli era riservato ai bianchi, l’altro ai ''non bianchi''. E procedeva solo la fila di coloro che avevano la carnagione chiara. Era nato l’apartheid, una piaga che ha umiliato generazioni di persone e ha dato il via a uno stato poliziesco e persecutorio''.

Poi con la Costituzione del Sudafrica firmata nel 1996, è stato debellato.

''Sì, ma non è corretto dire che sono state abbattute le differenze. Esse possono essere anche positive. In quella Costituzione vengono riconosciute ben undici lingue ufficiali e parecchi idiomi delle minoranze. Dal tedesco all’arabo, dall’ebraico al latino come lingua liturgica. In questo caso la differenziazione è una cosa buona perché consente a un popolo di mantenere la propria identità''.

Dall’Africa al nostro Trentino il salto sembra enorme eppure…

''Eppure non bisogna dimenticare che il Trentino è una terra di confine e sente l’etnicità in un modo unico, la sostiene con forza. Il confine dà un senso maggiore di identità perché ti differenzia da coloro che abitano dall’altra parte. Ai quali, ovviamente, deve andare il tuo rispetto. Il segreto è rimanere aperti all’esterno, mantenendo però con forza la propria singolarità. Quando io ho lavorato in Africa sono venuto in contatto con molte etnie, ma non ho mai rinunciato a nulla del mio bagaglio personale. Anzi, ho ottenuto rispetto perché ero legato alle mie tradizioni e al mio essere''.

In questo contesto come si inserisce la globalizzazione?

''Essa è un effetto normale, accelerato dai mezzi di comunicazione e non deve essere vista come un pericolo, ma come una conquista che deve spingere l’essere umano a sostenere la pace e il progresso per il bene di tutti''.

Lei ha detto: ''siamo tutti migranti''. Che cosa significa?

''Non parlo solo da un punto di vista storico, con le migrazioni in America. Ma pensiamo, ad esempio, alla fuga dei cervelli che c’è in Italia. Essa è causata dagli scarsi investimenti dei nostri governatori in ambiti quali la ricerca. Rita Levi Montalcini ha detto più volte che, se è riuscita a fare qualcosa, è stato perché è andata all’estero. Ma al di là di questo, il concetto di ''migrante'' viene evidenziato bene dall’apertura turistica che c’è in questi anni. Il turismo asseconda la vera natura dell’uomo che è quello di essere un homo migrans. Tutti quanti siamo per natura portati a spostarci. L’importante è muoversi con comprensione e rispetto per chi troviamo nelle nostre peregrinazioni''.

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