News/Approfondimenti > 16 marzo 2004

Al Mart la lectio magistralis del direttore del Boston Museum

“Il museo che dialoga con la comunità è il modello vincente”. Rogers: “Il coinvolgimento non si limita ai fondi”

A Milano, dov'è atterrato venerdì, gli operatori del settore gli hanno riservato un caloroso benvenuto: Malcolm Rogers, direttore del Boston Museum of Fine Arts e raffinato conoscitore d'arte, è stimato per molte ragioni.

La più attuale di esse non è però la pur nota sensibilità con cui vengono letti i ritratti dei secoli XVI, XVII e XVIII, argomento di numerosi e apprezzati saggi, né il ruolo di primo piano rivestito per anni alla National Portrait Gallery di Londra. Per i più, Malcolm Rogers è colui che ha fatto della propria imponente istituzione un museo quasi totalmente indipendente (solo l'1,4% dei finanziamenti è denaro pubblico): merito di una strategia – il fund raising - in cui è riconosciuto maestro. Al punto che la sua lectio magistralis, tenutasi ieri al Mart nell'ambito di MASTERinvita (programma di incontri con il pubblico che gravita attorno al Master of Culture Management di tsm-Trento School of Management), è stata coronata da una grande affluenza di pubblico. «Raccolta di fondi», riducendo all'osso il concetto, o metodo ben congegnato per finanziare attività altrimenti carenti, il fund raising è un meccanismo che assicura ogni anno, nei soli Stati Uniti, 40 miliardi di dollari: cifre consistenti, agevolate dal favorevole regime fiscale (che rende detraibili le donazioni) e da una mentalità che ricorre meno assiduamente, per abitudine e per necessità, alle risorse statali.

È possibile applicare un metodo come il fund raising al contesto italiano e trentino?
«Certamente. Bisogna ricordare però che la realtà dalla quale provengo, il museo di Boston, ha raggiunto ottimi risultati anche grazie a condizioni favorevoli: avere un metodo di tassazione come quello americano, che consente ai donatori di detrarre le proprie offerte, crea quello che io definisco un ''microclima'' adatto alla filantropia. La vostra, mi è sembrato di capire, è una zona ricca, dove l'intervento del denaro pubblico è generoso; ma non escludo affatto che in futuro decidiate di sviluppare con successo il 'und raising».

Il vostro museo viene sostenuto in misura diversa: chi vuole, dona a seconda della disponibilità?
Il fulcro di questo meccanismo consiste nella cosiddetta ''membership'', ovvero nel fatto che comuni cittadini decidono di spendere circa 70 dollari (detraibili, ovviamente) per diventare membri del museo e sentirsi artefici di un'azione filantropica. Una seconda forma di donazione riguarda altre risorse: non soldi ma tempo. I musei americani offrono ai cittadini molte opportunità per fare volontariato: ai livelli più alti si può persino entrare nel consiglio di amministrazione, ma esistono opportunità anche per chi vuole insegnare, accogliere i visitatori o mettere a posto i fiori. Ognuna di queste attività contribuisce alla percezione del museo come parte della comunità».

Sta diventando pratica comune la condivisione di opere d'arte tra diversi musei. Quello di Boston ha fatto la stessa scelta?
“Certo: formare delle partnership con altri musei consente al pubblico di vedere opere diverse. In questo periodo, ad esempio, stiamo esponendo ''Tahiti'', di Paul Gauguin, grazie alla collaborazione del Musée d'Orsay di Parigi. Un'altra considerazione su questo argomento: esporre capolavori può attirare un folto pubblico. Il Vermeer prestatoci dal Metropolitan Museum di New York ha richiamato migliaia di visitatori in pochi giorni”.

Il vostro museo ha, al proprio interno, una scuola. Come funziona una simile unione?
Quella ospitata all'interno del Boston Museum è un'accademia di Belle Arti, in cui si studiano pittura, scultura, disegno, computer art e discipline simili. Credo che il contesto del museo sia quello più adatto a una scuola del genere; più in generale, credo che i musei debbano educare e formare, in ogni momento - altrimenti il loro scopo è fallito. Ritengo inoltre che questa capacità di interazione con la gente nel futuro debba essere ulteriormente potenziata.
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