News/Approfondimenti > 21 ottobre 2015

Brunetti e le imprese del Nordest "La parola d'ordine è innovare"

Corriere del Trentino

L'analisi del docente della Bocconi: produrre piano ma vendere velocemente

Trento La trasformazione dell'impresa nel Nordest. E il tema del convegno organizzato da lares, la scuola di formazione di cgil cisl e uil, per dopodomani (16.30-19.30) nella sede di Tsm (via Giusti 40). Insieme a Daniele Marini (Università di Padova) e Enrico Zaninotto (Trento), vi prenderà parte il professore emerito della Bocconi Giorgio Brunetti, autore di Fare impresa nel Nord Est. Dal decollo alla grande crisi. Il docente, già consulente per diverse imprese, ha anticipato al Corriere del Trentino alcune delle sue considerazioni. Tra queste «l'innovazione come principale cardine del fare impresa oggi, nel grande complesso industriale, come nel piccolo laboratorio artigiano».

Professore, la vulgata vuole che il Nordest si sia addormentato una sera contadino e svegliato il giorno dopo industriale. È andata così?
«No. Senza andare a scomodare i secoli, già negli anni '20 e '30 del '900 erano diffuse realtà artigiane e piccole industrie: dalla lana, al mobile, dal legno, anche in Trentino, alle concerie. Il tutto, però, rivolto a mercati locali. Vi era poi un patrimonio culturale comune: la laboriosità, compresa la disponibilità a cercare lavoro nel mondo, il saper fare, ossia le capacità artigiane e il gusto del bello. In Veneto, in particolare, anche la diffusione della mezzadria ha contribuito a far crescere una mentalità imprenditoriale: bisognava difendersi dal padrone».

In questo contesto, l'esplosione dei consumi del dopoguerra.
«Esatto. I consumi interni esplodono, aziende come Zoppas (Conegliano, ndr) o Zanussi (Pordenone, ndr) contribuiscono a cambiare la società, portando nelle case i frigo, le lavatrici. Le donne non sono più schiave dei lavori domestici».

Ha cambiato la società più la lavatrice che l'Ipad.
«Senza dubbio».

Il Nordest cavalca benissimo anche la rivoluzione dei costumi cominciata negli anni '60.
«Quella è stata per il Nordest l'epoca dello spontaneismo. L'accesso al credito facile, la creatività, l'invidia sociale che spinge alla competizione, anche ex operai possono diventare imprenditori. Da Roma, me ne ha parlato un ex responsabile delle imposte, arriva l'indicazione di avere la mano leggera delle verifiche fiscali, l'evasione è consentita. In misura diversa, ciò che sta accadendo oggi con i 3.000 euro di contante: la priorità, si diceva, è la crescita».

Arrivano gli anni '90, cade il muro di Berlino, i partiti sono travolti da Tangentopoli.
«Ma soprattutto, dal '95, cessa la svalutazione competitiva della lira per poter entrare nell'euro. Da allora l'Italia e il Nordest cominciano a galleggiare, il Nordest lo fa meglio, ma comunque galleggia. Cominciano le delocalizzazioni soprattutto nei paesi dell'Est. Nel 2008, infine, la crisi finanziaria si abbatte come uno tsunami cancellando in pochissimo tempo le imprese che si erano attardate su modelli economici superati».

Chi è sopravvissuto?
«Chi ha fatto tre operazioni: ha innovato, si è internazionalizzato, ha lavorato sul capitale umano riducendo le inefficienze. Rispetto a pochi anni fa, ora il sistema produttivo del Nordest è più solido».

E ora?
«Ora il manifatturiero rappresenta il 20-25% del pil locale, l'economia si è spostata significativamente verso il terziario, le stesse imprese tradizionali hanno spostato la loro attenzione dalla produzione alla comunicazione».

Nella capacità di resistere allo tsunami che peso ha avuto la capacità manageriale?
«Rilevante. Le imprese familiari che non hanno saputo sviluppare al proprio interno capacità manageriali, o che non hanno fatto ricorso a manager, hanno sofferto di più, molte non ce l'hanno fatta. C'è stata una sorta di selezione darwiniana».

Ma il Trentino è Nordest?
«Sì, è diverso da Veneto, ma ha avuto istituzioni politiche che hanno fatto politiche industriali. In passato, ma anche recentemente attraverso l'università e i centri di ricerca. La parola d'ordine in economia oggi è innovare, alcuni risultati possono non essere immediati, ma alla lunga emergono».

Quindi da consulente aziendale non consiglierebbe un ritorno al «piccolo è bello»?
«Mettiamola così: oggi esiste un mercato importante per il laboratorio artigianale di eccellenza, per il prodotto agroalimentare di nicchia e voi, penso al vino, lo sapete. Si può ancora produrre lentamente, ma bisogna saper vendere velocemente. In altre parole, bene la realtà piccola, ma se connessa con la fibra al resto del mondo e capace di dialogare con esso in tempo reale».

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