News/Approfondimenti > 04 dicembre 2018

Conciliazione vita-lavoro: lo status quo in Europa e Italia

ladigetto.it

Lavoro, genitorialità, uguaglianza di genere: sono i tre temi cardine del seminario che ha portato oggi al pubblico un aggiornamento sulle politiche europee e italiane in merito alla conciliazione famiglia-lavoro.
In sintesi è emerso che le politiche di conciliazione devono dare risposte ai bisogni dei cittadini lungo tutto l'arco della vita e devono coinvolgere di più gli uomini per l'uguaglianza di genere ampliando i congedi di paternità e i congedi parentali fruibili in coppia. 
Inoltre è emerso con forza la necessità di finanziamenti strutturati e non solo «una tantum» nei bilanci dei Governi, al fine di tutelare le donne al lavoro e il loro rientro dopo la maternità.

Dopo il saluto di benvenuto di Riccardo Salomone, direttore dell'Agenzia del Lavoro di Trento, ha preso la parola Valeria Viale, ricercatrice dell'Agenzia nazionale per le Politiche attive del Lavoro, che ha illustrato al pubblico alcuni dati statistici sul tema della conciliazione in Europa.

Vorrei presentare i primi risultati dell'analisi qualitativa che abbiamo concluso recentemente usando due indicatori: il 1° è il tasso di occupazione (Italia al 62% e quello soddisfacente per l'UE è il 78%).

Il 2° indicatore è il gap nel lavoro da un punto di vista delle differenze di genere: in Europa nel 2015 il valore desiderato era l'11% e i dati registrati sono stati al primo posto la Finlandia con il 2%; ultime Italia al 20% e Malta al 27%.

Abbiamo quindi analizzato questi dati: al diminuire del gap crescono i tassi di occupazione delle donne.»

Inoltre – ha proseguito Viale – è stata fatta una indagine sulla qualità della vita nel 2016 con 36.000 interviste per rilevare il livello di work life balance in Europa: tra il 2007 e il 2016 è peggiorato notevolmente.

Tra gli intervistati - donne in fascia 30-50 anni - è stato chiesto quali difficoltà registravano: il 66% erano donne che si sentivano troppo stanche dal lavoro per occuparsi anche dei lavori domestici, il 50% erano donne che soffrivano di trascorrere troppo tempo sul luogo di lavoro e non con i figli. 

Quali sono le leve sulle quali agire? Migliorare la conciliazione vita-lavoro chiedendo agli stati europei di attivare strumenti ed azioni in tal senso verso il lavoro agile.

Tra le 21 azioni concrete, la proposta del Pilastro europeo dei diritti sociali che prevede ad esempio di: implementare i congedi parentali, i congedi di paternità, i congedi per i prestatori di assistenza/cura di altri familiari, misure flessibili di organizzazione del lavoro, protezione contro il licenziamento soprattutto per genitori e prestatori di assistenza, incoraggiare l'uso bilanciato dei congedi tra uomo e donna. 

Il Pilastro introduce in particolare il diritto a 10 giorni di congedo di paternità al momento della nascita del bambino; 4 mesi di congedo fruibili dalla coppia, innalzare l'età dei bambini nell'arco della quale si possono usare i congedi fino ai 12 anni, dare ai prestatori di assistenza con cariche di cura 5 giorni in più di congedo, congedi per i nonni.»

La dott.sa Viale ha concluso portando una raccolta di alcune delle migliori buone pratiche nazionali.

In Francia (supporto di genitori nel rientro al lavoro dalla maternità, congedi da 6 mesi ad un anno se fruiti da entrambi i genitori, 36 mesi per il secondo figlio per la coppia, diritto ai congedi di paternità per 11 giorni dalla nascita del bimbo per riequilibrare i carichi di cura all'interno della coppia), Finlandia (efficiente sistema di congedi collegato a un sistema di servizi sociali e sanitari che permette alle donne di lavorare a tempo pieno; congedo di un anno), Paesi bassi (fiscalità diversa per impattare positivamente sull'occupazione delle donne), Spagna (sostegno economico, offerta di servizi ampia, 4 settimane di congedo di paternità).»

Al termine ha preso la parola Mariacristina Rossi, docente di economia all'Università degli Studi di Torino, che ha discusso il tema «Azioni per favorire la conciliazione, l'accesso e la permanenza delle donne al lavoro». 
Il gap di genere – ha esordito la Rossi - persiste in Europa ma soprattutto in Italia dove 1 donna su 2 lavora: dato allarmante che ci vede penultimi nella classifica europea.
La conciliazione è una ricetta per risolvere la criticità. Svezia, Norvegia, Finlandia permangono ai primi posti, mentre ultimi sono Italia, Grecia Malta. 
Il fattore di istruzione è responsabile di questi dati: più è alto e più alte sono le probabilità di essere occupati (le donne laureate sono quelle che lavorano in % di più rispetto ad altre con titoli inferiori). 
In Trentino i dati sono migliori con solo un 30% di donne che non lavorano. Sul lato della domanda di lavoro, il tessuto imprenditoriale deve fare di più e capire quali sono gli ostacoli. 
Le imprese discriminano quando assumono? Oggettivamente sì da dati statistici (es. Valutazione di un curriculum con o senza foto e senza dati identificativi del sesso).
 
Sul lato dell'offerta di lavoro – ha proseguito Mariacristina Rossi, – emerge che le donne si auto-selezionano in lavori meno remunerativi, anche perché sono meno attente al denaro e guardano ad altri aspetti in un contratto lavorativo, come la flessibilità oraria, e sono meno competitive rispetto agli uomini. Il gap si riscontra già dopo l'ottenimento del titolo di studio anche se le donne conseguono la laurea prima e con voti più alti dei maschi.
I dati Alma Laurea registrano che il gap sussiste fin dall'uscita della scuola sia in termini retributivi che di livello di lavoro. Inoltre, si riscontra che, a parità di mansioni, le donne ricevono una retribuzione inferiore.

Christine Lagarde (manager di IMF International Monetary Fund), elenca 5 fattori economici dall'ingresso delle donne al lavoro: crescita del PIL, migliore equilibrio in termini di rapporto rischio /rendimento nei settori finanza e affari, controllano 2/3 dei bei di consumo di spesa, diversità nelle posizioni apicali (assicurano spinta innovativa), investimento maggiore nelle generazioni future.

Lagarde aggiunge che occorre superare l'antico retaggio di collegare genitorialità a maternità e non a paternità e sottolinea che le donne che lavorano sono quelle che fanno più figli. 

Infine, la relatrice ha portato qualche dato locale: in Trentino il tasso di natalità è dell'1.62 ed è più alto della media che è 1,32, mentre al sud i tassi sono i più bassi perché nella coppia lavora solo una persona (il padre di solito). 
In Trentino annualmente su 2.300 mamme che lavorano, l'11% si licenzia dopo la maternità. In conclusione, le donne chiedono più supporto nella conciliazione: più congedi cioè giorni di assenza dal lavoro per accudire i figli, servizi per l'infanzia (nidi e scuole materne, voucher per asili nidi e baby sitter, tagesmutter, nidi aziendali, banche delle ore, monitoraggio con interviste e focus group).»

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