News/Approfondimenti > 11 giugno 2014

Industria, ecco perché dobbiamo preoccuparci

Corriere del Trentino

Viviamo la peggiore crisi economica degli ultimi 80 anni. Tra il 2007 e il 2013 è stato perso in Italia oltre un milione di posti di lavoro.

Almeno 900.000 di questi erano nell'industria Sono in gravissima difficoltà parti fondamentali di quel poco che resta della grande industria italiana, e sono decine di migliaia le piccole imprese morte negli ultimi anni. Il nanismo dimensionale resta uno dei punti di debolezza del nostro sistema produttivo. La domanda interna è calante e quella europea non è molto più dinamica. È chiaro allora che per poter sopravvivere bisogna essere capaci di esportare in mercati più dinamici, per lo più situati in Paesi lontani o lontanissimi. Ma in tali Paesi servono strategie articolate di penetrazione che facciano affidamento su stabilimenti locali, su reti distributive e di assistenza post-vendita. Serve personale che conosca le leggi, la lingua e la cultura locale. Servono risorse ingenti, insomma. L'altro ingrediente essenziale per poter sopravvivere è l'innovazione di prodotto, di processo e di tipo commerciale. Le piccole imprese _ sono ovviamente in difficoltà sotto ambedue i punti di vista. L'industria italiana sconta molti fattori di svantaggio: una domanda nazionale debole, una forte diminuzione degli investimenti produttivi, una grave mancanza di credito, costi dell'energia altissimi, una pubblica amministrazione molto inefficiente e un sistema infrastnitturale inadeguato.

Le crisi economiche sono processi che selezionano ed eliminano le imprese meno efficienti, quindi è chiaro che in questi anni chi è sopravvissuto è stato capace di trasformarsi, di cambiare i processi, le tecnologie, il posizionamento. È in atto una trasformazione del panorama industriale italiano. Basti pensare che lo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco -che era il peggiore del gruppo in termini di scarsa produttività, di elevata difettosità del prodotto, di alto assenteismo dei dipendenti -- è stato premiato come il migliore impianto manifatturiero d'Europa nel 2012. La Fiat ha rivoluzionato, negli scorsi anni, l'organizzazione e i processi produttivi a Pomigliano. Sono tante le storie di rinascita industriale in atto in Italia come spiega Giuseppe Berta nel volume «Produzione intelligente» (Einaudi 2014). Restano aperte molte questioni tuttavia. Innanzi tutto, vale la pena di preoccuparsi per il manifatturiero o in fondo è giusto che si restringa come è accaduto per l'agricoltura? Il manifatturiero in realtà assicura posti di lavoro con retribuzioni in media più alte (a parità di qualificazione) rispetto agli altri comparti. È il settore esportatore per eccellenza, quindi può consentirci crescita e commercio con l'estero. Si tratta inoltre del settore che genera gran parte dell'innovazione, tecnologica e non solo, con forti ricadute su tutto il sistema economico. Quindi la risposta è sì, dobbiamo preoccuparci del manifatturiero. Uno sguardo oltre i confini ci mostra come in tutte le principali economie avanzate esistano piani strategici, di medio termine, che identificano selettivamente alcune aree di intervento ritenute chiave per la crescita. L'amministrazione Obama, ad esempio, ha annunciato nel 2012 un nuovo piano strategico per _ la manifattura: National Network for Manufacturing Innovation, il cui obiettivo è creare nei prossimi dieci anni 45 partenariati pubblico-privati per lo sviluppo e la commercializzazione di prodotti manifatturieri ad alto contenuto tecnologico. Una politica simile è in atto in Germania dal 2007, la High-Tech Strategy for Ger^^^^^^M many, che dovrebbe far nascere 15 cluster tecnologici. La Francia nel 2010 ha istituito la Conférence nationale de l'industrie alla quale partecipano associazioni industriali, parti sociali e imprese, per individuare segmenti sui quali concentrare risorse. Insomma non si vive di sole politiche macroeconomiche di breve termine. È importante discutere e definire una politica industriale, se vogliamo restare un grande paese industriale. Si parlerà di questi temi, alle 14 di venerdì prossimo, in una tavola rotonda organizzata a Trento da Lares (Laboratorio relazioni sindacali) alla Tsm in via Giusti 40 con Giuseppe Berta, Alessandro Olivi, Gabriella Bettiol e Sabina Barcucci.

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