News/Approfondimenti > 04 ottobre 2014

''Sindacati? Tempo di donne, immigrati e giovani''

Corriere del Trentino

Il convegno Hyman e Gumbrell-McCormick suggeriscono alle parti sociali italiane di svecchiarsi e puntare alla cogestione tedesca.

Sindacati disorientati, alla ricerca di un antidoto che possa arginare un declino avviatosi decenni fa.

È questa la fotografia che Richard Hyman e Rebecca Gumbrell-McCormick, tra i massimi esperti di relazioni industriali di Europa e Gran Bretagna, hanno scattato alle organizzazioni di dieci paesi.

Per quattro anni le hanno passate al setaccio con in mente un'unica domanda: «Quale futuro attende il sindacato?».

Ne sono riemersi più che con risposte univoche, con analisi e valutazioni che hanno riunito nel volume Tempi duri, scelte difficili.

I sindacati in Europa occidentale, presentato ieri a Trento in occasione del convegno nazionale dell'Associazione italiana di studio delle relazioni industriali.

Tante le sfide aperte dai tempi moderni, troppe le volte in cui le istanze di rinnovamento sono state sottovalutate.

«Oggi -- esordisce Ida Regalia, docente di sociologia del lavoro e relazioni industriali all'università di Milano --, è necessario ripensare ai modelli originari, rivedere le logiche di base di un'organizzazione la cui sussistenza è fondamentale poiché parte attiva nella riscrittura delle regole economiche e sociali».

«Un'intermediaria -continua la professoressa--che deve trovare nelle relazioni con gli attori istituzionali nuove opportunità di sviluppo». Sì, perché, al cambiamento dei tempi corrisponde quello dei bisogni.

Più spazio al welfare, dunque, maggiore attenzione alle dinamiche familiari e allo stress lavoro-correlato.

«Tutti temi -- chiarisce Hyman, professore emerito alla London School of Economics--che possono offrire al sindacato nuovi spunti di riflessione e azione, lottando per una flessibilità che possa essere vantaggiosa anche per i lavoratori e non solo per le aziende».

Numerose le categorie, oggi sottorappresentate, alle quali le sigle dovrebbero guardare con maggiore voglia di inclusione e rinnovamento: dalle donne agli immigrati, dai giovani ai lavoratori atipici, «divenuti ormai tipicissimi» puntualizza Hyman.

«La crisi economica contingente ha rinnovato l'importanza di un sindacato che dovrebbe essere, in primis, un movimento morale nato per riscattare i più poveri e garantire equità sociale, lottando per le classi in maggiore difficoltà anche con modalità innovative e inusuali» sostiene Gumbrell-McCormick, docente presso il Department of Management dell'università di Londra.

Via libera, dunque, a flashmob, slogan accattivanti e video satirici, «tutti strumenti che in Germania hanno portato a ottimi risultati, coinvolgendo nuovi interlocutori, come i tirocinanti, ovvero coloro che dal mondo contrattuale resteranno esclusi ancora per diverso tempo» continua la professoressa.

Berlino, inoltre, è sinonimo di «cogestione», ovvero inclusione piena dei lavoratori nelle dinamiche aziendali, modello a cui, secondo la ricercatrice, sarebbe giusto ispirarsi.

Ma, com'è ovvio, la tendenza sindacale si scontra con il vissuto di ogni paese, ecco dunque l'Italia essere nettamente distante dalle eccellenze nordiche quali la Svezia e la Danimarca, dove iscriversi al sindacato vuol dire perpetuare una tradizione familiare.

«La legittimazione sociale è altissima: essere tesserati vuol dire credere in un'idea, lottare per la sua applicazione.

In Italia, invece, l'indebolimento del sindacato tradizionale è andato di pari passo con la progressiva disaffezione dalla militanza di sinistra. Una tendenza -- conclude Gumbrell-McCormick --che ha visto l'associazionismo preoccuparsi più delle divergenze interne che delle reali necessità dei lavoratori».

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