News/Approfondimenti > 29 novembre 2014

Stop austerità, servono investimenti

ladige.it

Con l'uscita dall'Euro stangata sui salari

All'Italia (e al Trentino) non serve rinunciare alla moneta unica per tornare a crescere: all'insostenibile debito pubblico (circa 2.200 miliardi di euro) si può far fronte creando le condizioni necessarie per rimettere in moto gli investimenti. «Il che presuppone un deciso contrasto all'evasione fiscale» sottolinea il presidente di Unipol Pierluigi Stefanini. Il presidente della Provincia Ugo Rossi precisa che l'Italia deve ritrovare credibilità a livello globale «velocizzando i processi produttivi, snellendo la funzione di giustizia civile e il funzionamento della pubblica amministrazione».

E quanto emerso ieri durante la tavola rotonda «E se l'Italia uscisse dall'Euro?», organizzata dalle agenzie Atlante ed Assistudio UnipolSai, dal Consiglio regionale Unipol del Trentino in collaborazione con cgil, cisl, uil e Arci, e moderata dal responsabile web dell'Adige Renzo Moser. «Anche il Trentino ha bisogno di aprirsi sul mercato globale prosegue Rossi - In una logica di razionalizzazione della spesa è necessario mantenere invariati i nostri ottimi livelli di coesione sociale attraverso la richiesta di compartecipazione alle fasce sociali che possono permetterselo».

Per Rossi occorre finalizzare gli strumenti delle politiche fiscali a stimolare il mondo produttivo per indurre la ripresa di investimenti privati. «In Trentino i depositi bancari continuano a crescere. Dobbiamo trovare il coraggio di investire di più».

Nel convegno sono state definite errate le politiche economiche europee di austerità. «Che hanno portato a disoccupazione e povertà, taglio dei salari e distruzione del ruolo delle parti sociali - chiarisce il segretario confederale di European Trade Union Confederation Luca Visentini - Gli Stati dell'Ue devono essere più solidali, con trasferimento delle risorse dai Paesi forti a quelli deboli». «Con il ritorno alla Lira - spiega Sandro Trento, docente all'Università - assisteremmo ad una svalutazione del 20% della moneta italiana, con una crescita limitata del Pil (1,5%) nel primo anno e nulla sul triennio. Anche l'effetto sull'occupazione sarebbe modesto: solo 500.000 posti aggiuntivi. Inoltre l'aumento dell'inflazione insieme alla svalutazione del cambio provocherebbe una diminuzione di salario dei lavoratori pari al 5/6».

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