Le autonomie speciali
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Le autonomie speciali

Le vicende e i possibili sviluppi dell'altro regionalismo

Gianfranco Cerea

Quarta di copertina

Nate nell'immediato dopoguerra, con ordinamenti e modalità di finanziamento del tutto particolari, le autonomie speciali si sono sviluppate seguendo percorsi e conseguendo risultati molto diversi fra loro. Oggi esse appaiono ai più con troppi poteri e troppe risorse, non attuali, anomale rispetto al quadro istituzionale prevalente. L'eterogeneità delle situazioni e la complessità della tematica non possono però essere assunte a premessa per legittimare un generale appiattimento degli ordinamenti regionali, equiparando le autonomie speciali alle ordinarie. Le diversità istituzionali rappresentano infatti un elemento di ricchezza e possono fornire, a certe condizioni, un contributo importante per un'efficiente gestione della cosa pubblica.

Questa seconda edizione del libro riprende solo in parte i contenuti della precedente. In particolare analizza le vicende delle autonomie speciali con riferimento agli eventi degli anni più recenti, ricostruendo i profili finanziari e riconducendo la loro complessità ad un quadro interpretativo unitario, in grado di ricomprendere anche le realtà a statuto ordinario. L'analisi conferma la presenza di incongruenze e disparità di trattamento fra territori, così come l'ampia varietà degli esiti che le singole regioni speciali hanno conseguito in termini di sviluppo economico e sociale.

Per uscire da tale situazione e promuovere una gestione responsabile dell'autonomia, viene avanzata l'ipotesi di quantificare le dotazioni finanziarie delle regioni speciali utilizzando il riferimento al residuo fiscale, inteso come saldo fra i gettiti erariali attribuibili al territorio e i fabbisogni di spesa standard, definiti in base alle situazioni che si prospettano per la generalità del Paese. Questo modello non solo garantisce l'irrinunciabile coinvolgimento delle autonomie speciali nel progetto “federalista”, ma indica altresì il possibile percorso delle regioni ordinarie che aspirano ad uno viluppo dei proprio poteri, assumendo altresì il ruolo di principali garanti della crescita economica e sociale della comunità.

Prezzo: 20,00
Angeli Franco

Introduzione

Il regionalismo e le particolari vicende delle autonomie speciali
1. La nascita delle autonomie speciali
2. Il modello originario della specialità
3. Regionalismo di diritto e regionalismo di fatto

La dimensione finanziaria delle autonomie speciali
1. Le evoluzioni finanziarie degli ultimi quarant'anni
2. I mutamenti del quadro autonomistico del Trentino Alto Adige
3. Gli effetti dell'autonomia contrattata
4. La riforma “federalista” e le conseguenze per le autonomie speciali

Spesa standard e residui fiscali
1. Spesa regionale, spesa pubblica e spesa statale regionalizzata
2. La distribuzione della spesa statale sul territorio
3. Un'allocazione immutabile della spesa?
4. Spesa e  popolazione: solo economie di scala?
5. Fattori di disagio territoriale e spesa standard
6. Il residuo fiscale

Un bilancio complessivo
1. L'evoluzione degli assetti
2. Gli esiti di lungo periodo: successi ed insuccessi
3. Quale lezione?

Bibliografia

Introduzione

L'evoluzione dell'economia, la crisi finanziaria e i vincoli sempre più stringenti, concordati a livello europeo, spingono la gestione della pubblica amministrazione verso un ormai ineludibile rigore dei conti e la necessità di rivedere il perimetro dell'intervento pubblico, indagando in quali ambiti si possano realizzare economie, contenere sprechi, eliminare privilegi. Dopo decenni di “finanza allegra”, l'analisi economica e la stessa informazione giornalistica non faticano ad individuare le possibili aree di razionalizzazione. Non di rado si ha però la sensazione che le proposte di intervento, così come le necessarie correzioni, siano condizionate da un contesto culturale in cui il cattivo operare di alcuni diventa il metro di giudizio che abbraccia la generalità. Allo stesso modo la differenza istituzionale o l'originalità di una soluzione diventano un fattore di disturbo, mentre sulla spinta della semplificazione, l'organizzazione accentrata – tradizionalmente rigida – sembra essere preferita a quella decen­trata, tendenzialmente più adatta all'innovazione, all'efficienza, alla capacità di rispondere ai bisogni di specifici contesti.

In questo clima, le regioni a statuto speciale sono diventate oggetto di critiche ricorrenti e diffuse: troppi poteri e troppe risorse non più attuali, anomale rispetto al quadro istituzionale prevalente. Molto si è scritto e si è detto anche intorno ai privilegi finanziari delle autonomie speciali. Nelle analisi tende a prevalere una visione fortemente critica, ben rappresentata da affermazioni come la seguente:

“In soldoni (la specialità) significa maggiori funzioni e (soprattutto) maggiori risorse, garantite attraverso un favorevole meccanismo di compartecipazioni al gettito di tributi erariali. Tale regime, emendabile solo previa intesa fra lo Stato e la singola Regione a statuto speciale, comporta evidenti vantaggi che è sempre più difficile giustificare richiamandosi alle peculiarità storiche, linguistiche e culturali dei rispettivi territori. Da tempo e da più parti, pertanto, si auspica una revisione del loro ordinamento finanziario attraverso una graduale convergenza verso quello delle Regioni a statuto ordinario”.

O, ancora: “Il quadro attuale è caratterizzato da casualità e disorganicità nell'attribuzione delle competenze tra le varie Regioni a statuto speciale”.

Gran parte delle conclusioni, come quelle ora richiamate, si fonda su dati a nostro avviso inappropriati e su approcci che tendono a trasferire meccani­camente, nel contesto delle istituzioni pubbliche, l'idea secondo cui l'uguale trattamento dei cittadini può essere garantito solo in contesti amministrativi identici, con uguali regole di finanziamento e sistemi di incentivo.

Le critiche alle specialità, così come le spinte al federalismo, non prendono mai in considerazione i fattori che hanno portato al diverso sviluppo delle competenze e a livelli disomogenei di “buongoverno”. Disorganicità e casualità degli statuti speciali sono in effetti l'espressione della diversa “domanda locale” di autonomia. In questo senso, le norme di attuazione effettivamente emanate, l'impegno profuso nelle trattative e i ricorsi alla Corte Costituzionale dimostrano che se oggi – a titolo di esempio – il Trentino Alto Adige ha più competenze della Sicilia è solo perché ha esercitato pressioni sullo Stato. Se non lo avesse fatto, la sua autonomia sarebbe la stessa di quella dell'Isola, ovvero ben poca cosa e comunque lontana dalla originali previsioni statutarie.

Vi è anche un secondo aspetto che la letteratura sembra trascurare: il legame fra risorse e sviluppo economico. Se, nel medio-lungo periodo l'economia di una regione cresce più di altre, a chi devono andare le ricadute fiscali a ciò associate? Una sfera di competenze locali più ampia che altrove può essere la premessa per un maggior beneficio sul territorio? L'assenza di meccanismi di solidarietà-perequazione, a favore di un determinato livello di governo, può portare a considerazioni diverse da quelle che normalmente valgono per realtà le cui finanze sono normativamente interdipendenti?

La razionalizzazione della pubblica amministrazione non può escludere nessuno e anche le autonomie speciali, al pari di quelle regioni ordinarie, degli enti locali, della previdenza, dello Stato, devono essere oggetto di una profonda critica, capace di andare oltre le logiche dei diritti acquisiti, così come del tradizionale riferimento alla spesa storica. Per poter condurre a buon fine un simile impegno occorre però un preliminare sforzo di analisi e interpretazione, che non è sempre così facile e immediato, come le cronache dell'informazione sembrerebbero far intendere.

Fra tutti, il tema delle autonomie speciali è sicuramente uno dei più ostici. Per essere adeguatamente affrontato richiede di conoscere la storia, di valutare problematiche di profilo giuridico e costituzionale, di gestire dati di bilancio, di confrontare, analizzare e sintetizzare realtà diverse l'una dall'altra, facendo riferimento a ciascuno dei profili che abbiamo prima menzionato. Per questo motivo il nostro lavoro si concentra sugli assetti finanziari delle autonomie speciali, sulla loro evoluzione nel tempo, sulle “diversità di trattamento” che lo Stato ha riservato loro, rispetto a quanto invece ha fatto e fa nel resto del Paese.

Dopo aver brevemente richiamato le origini e le ragioni delle autonomie speciali, vengono analizzati i loro profili finanziari in termini relativi, evidenziando cioè le possibili disparità di trattamento all'interno del “gruppo”, così come rispetto al resto del territorio nazionale. L'esercizio utilizza una base “neutra”, costituita dalla spesa dello Stato a livello regionale, comprensiva sia delle risorse devolute alle autonomie, così come degli interventi diretti in termini di servizi o di copertura della spesa assistenziale e pensionistica non finanziata dai contributi sociali e, come tale, a carico del bilancio statale.

Le condizioni particolari, che caratterizzano le varie autonomie, sono poi “giudicate” individuando i divari nelle risorse e calcolando il residuo fiscale. L'esercizio si basa sul calcolo della spesa normale o standard, prendendo a riferimento i principi contenuti nella legge 5 maggio 2009, n. 42 di “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione”. Questa norma rappresenta in effetti una grande occasione per rimettere ordine tra le autonomie speciali, ma non solo. All'art. 27 la stessa prevede infatti che “Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti,... concorrono al conseguimen­to degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, secondo ... il principio del graduale superamento del criterio della spesa storica... (tenendo) conto della dimensione della finanza delle predette regioni e province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva, delle funzioni da esse effettivamente eser­citate e dei relativi oneri, anche in considerazione degli svantaggi strutturali permanenti ... che caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi, rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal complesso delle regioni e ... dagli enti locali”.

L'indicazione normativa e le evidenze emerse dall'analisi diventano poi la premessa per la formulare una proposta sulla cui base regolare l'assetto delle regioni a statuto differenziato, con il duplice intento di pervenire, nella salvaguardia delle diversità e delle specialità, ad una logica unitaria ed alla possibilità di perseguire obiettivi di perequazione e solidarietà coerenti rispetto a quanto avviene per la restante parte del Paese.

Nella parte finale viene poi ricostruito un bilancio dell'esperienza delle regioni a statuto differenziato e delle ricadute sui territori amministrati, con l'intento di ricavare una lezione utile per evitare il ripetersi di taluni errori, ma anche per fornire indicazioni critiche sulle condizioni necessarie affinché altre regioni, oggi ordinarie, possano muoversi sul percorso di una possibile “specialità” equa e sostenibile.

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