Senso e misura
La valutazione nelle organizzazioni
Quarta di copertina
Nelle istituzioni pubbliche e nelle imprese si è ripreso recentemente a parlare di valutazione: più si avverte la crisi dei modelli tradizionali di gestione, più scarseggiano le risorse, più scarseggiano le risorse, più si riducono i margini economici e più la valutazione acquisisce centralità sulla scena. La valutazione è stata caricata di crescenti aspettative ed è spesso proclamata come soluzione di tutti i problemi legati al funzionamento delle organizzazioni. Da qui il rischio di essere trasformata in un mito sostenuto da un'ideologia non manifesta. Di volta in volta la valutazione è stata presentata come opportunità per migliorare la gestione, per sollecitare il cambiamento, per premiare il merito, per garantire equità. Tante di queste promesse però non sono state mantenute, o forse si è trattato solo di false promesse che non era possibile mantenere.
In questo libro si propone un'idea di valutazione come processo relazione, che non si esaurisce nella trasmissione di misurazioni certe dai valutatori ai valutati, ma si qualifica in termini di partecipazione alla costruzione di senso e significato mentre si lavora. Partendo dalla critica alle fallimentari retoriche del management, che sembrano non riconoscere il lavoro come esperienza fondamentale, della vita delle persone e delle comunità, la valutazione può diventare occasione per orientare le decisioni, riflettere sull'esperienza organizzativa, progettare il futuro: un momento di riconoscimento reciproco, uno spazio di scoperta e di invenzione.
Prefazione di Paolo Iacci
Introduzione
Per una concezione pluralista della valutazione
Un percorso tra teorie, retoriche e pratiche
Riconoscere il valore: il fondamento relazionale della valutazione
Rompere la catena dei dualismi
Epistemologie implicite e pratiche
Valutarsi, valutare, essere valutati
Valutazione e crisi della retorica manageriale
Un modo di intendere: lavoro, organizzazioni, valutazione
Le tante “P” della valutazione
Retoriche del management
Dal di fuori e dall'alto
La prospettiva computable
L'istruzione del cambiamento e la dittatura degli obiettivi
Ipertrofia delle tecniche ovvero il cannocchiale sull'occhio bendato
La minaccia e la lusinga
La svolta linguistica
Il linguaggio e il senso
La prospettiva sensemaking
Una distanza “sufficientemente buona”
Convergenze: le diverse vie della conoscenza
Una “fenomenologia impossibile” e necessaria
Dalla misura al senso della misura
Riposizionare la valutazione
Ambiguità, incertezza e limiti della valutazione
Il gioco della valutazione
Dinamiche del potere: asimmetrie, autorità e partecipazione
L'impegnativa elaborazione del conflitto
La valutazione del personale nelle organizzazioni del simbolico
Pseudo-gratificazioni nell'organizzazione in pezzi
Ricostruire legami
Estetica e pratica del riconoscimento
Ripensare le competenze
Vedere il possibile nell'esistente
Educarsi alla valutazione
Bibliografia
di Paolo Iacci
Correva l'anno 1975. Per pagarmi gli studi, ancora studente universitario ero riuscito a trovare un lavoro come “portaborse” – nel senso stretto del termine – di Pietro Gennaro, uno dei padri della consulenza italiana. In questa veste ancora ricordo un dialogo tra lui e l'Amministratore Delegato di una delle più importanti società della Pirelli.
Gennaro era andato a trovarlo per parlargli dell'MBO e delle ultime tecniche di valutazione di derivazione nordamericane. Il dialogo era stato esteso a un ristretto gruppo di dirigenti. Io ero rimasto in piedi in un angolo della stanza e allora non avevo ancora la piena consapevolezza del privilegio di cui stavo godendo. Ancora ricordo, però, alcuni elementi di quel dialogo. L'AD, uomo di grande cultura non solo economica, aveva alcune perplessità: si era all'inizio delle prime attività di budgeting e si temeva che errori predittivi potessero porre limiti più che costituire mete sfidanti cui tendere.
Vi era inoltre un forte senso sociale dell'impresa: ridurre il suo ruolo, la sua stessa vita, a un insieme di numeri, seppur bene organizzati, sembrava un'attività sminuente la complessità delle relazioni, interne e sociali, che costituiva il nerbo e il senso stesso del suo esistere. L'istituzione impresa ai suoi occhi aveva valore prima di tutto come elemento propulsivo del sistema economico del Paese e con esso doveva costituire un punto di riferimento non solo per chi vi stesse lavorando e per le loro famiglie, ma anche per l'intero complesso sociale.
Valutare quindi le persone con una prospettiva diagnostica asettica e “terza” aveva sicuramente il fascino di una possibile “scientificità”. Allo stesso tempo, però, si temeva fosse un'eccessiva semplificazione e spingesse a porsi obiettivi solo di ordine quantitativo e ristretti unicamente all'interno dei confini delle singola impresa.
Il progresso manageriale spingeva verso rapidi incrementi di produttività e queste attenzioni vennero poi superate nel nome dell'efficienza manageriale. Cosa poi sia accaduto, nel bene e nel male, è sotto gli occhi di tutti gli operatori.
Passano circa una quarantina d'anni e uno dei più noti e importanti club di calcio italiani mi chiama per introdurre le principali metodologie di valutazione delle persone e delle loro prestazioni. Dopo decenni di gestione familiare il club è appena passato ad una conduzione manageriale. Questa richiede una strumentazione di controllo e valorizzazione che, come ho appena ricordato, ha una tradizione assai consolidata nel tempo. Ma l'adozione di questi strumenti ha una valenza “calda”, profondamente relazionale. Di asettico c'è solo la forma, non certo la sostanza.
Un club di calcio è prima di tutto tifo, passione, irrazionalità che deve sì trovare un controllo e una direzione economicamente sostenibile, ma valorizzando sempre le reti di relazioni interne ed esterne alla società. Le valutazioni qui più che altrove sono manifestatamente segni del senso che si sta dando alla conduzione del club e del significato che le persone possono percepire di ciò che stanno facendo e del progetto cui stanno prendendo parte.
A distanza di quarant'anni mi si è quindi riproposto il tema centrale oggetto del volume che avete tra le mani. Due tra i principali autori di management italiani ci offrono qui un contributo prezioso per capire cosa possa significare fare valutazione delle persone nelle organizzazioni produttive e di servizio.
Su uno dei temi focali della gestione e sviluppo delle risorse umane gli autori entrano con grande efficacia nel cuore di un dibattito che in questo momento ha portata anche a livello internazionale. È infatti di questi mesi, nei Paesi industriali più avanzati, una rilettura critica dell'approccio e degli strumenti della valutazione delle persone e delle loro performance.
L'ottica tecnicista ed efficientistica degli ultimi trent'anni viene sottoposta a una critica sempre più puntuale. Le imprese si muovono in un contesto a basso grado di prevedibilità, dove l'incertezza dei mercati e la caducità delle transazioni “fuori” dalle imprese si traducono poi, “dentro” le imprese, in ambiguità organizzativa, ambivalenza nelle transazioni interne e conseguente necessità di una costruzione collettiva del senso del proprio agire.
Oggi tutte le organizzazioni, politiche, sociali, e quindi anche produttive, stanno divenendo sempre più enti ad alta densità di relazioni. Conseguentemente anche la valutazione delle persone che vi lavorano appare sempre più un momento centrale nella vita delle organizzazioni ma, allo stesso tempo, anche come un processo relazionale dagli esiti provvisori. Un momento centrale nella costruzione collettiva del senso del proprio agire.
Come indica il titolo del volume, gli elementi posti al centro del dibattito sono proprio il senso e la misura del valutare e, attraverso questo, il senso e la misura del lavoro stesso e dell'identità del soggetto nelle sue relazioni sociali e produttive.