Un nuovo management pubblico come leva per lo sviluppo. Atti del seminario ''Istituzioni, no
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Un nuovo management pubblico come leva per lo sviluppo

Atti del seminario ''Istituzioni, norme, risultato''

Luca Comper Mauro Marcantoni

Quarta di copertina

Le sfide globali dell'innovazione, l'efficientamento richiesto all'Italia, la riforma della dirigenza trentina. La Pubblica Amministrazione rilegge se stessa a partire dall'asset più importante: il capitale umano.
Una vera e propria rivoluzione culturale che porta la dirigenza ad assumere modelli decisionali più efficienti, moderni, veloci e sensibili, per una crescita data da performance positive, servizi ad alta qualità, istituzioni trasparenti e credibili. Ma la Pubblica Amministrazione è pronta ad affrontare il cambiamento?

Al nuovo dirigente pubblico si chiede di guardare avanti, fuori e dentro. Per occuparsi del futuro e non solo del presente, adeguare l'andamento della cosa pubblica alla corsa della collettività e verificare i risultati. Un processo complesso ma non per questo irrisolvibile che, se condotto con visione strategica e capacità empatica, potrebbe rendere la Pubblica Amministrazione un motore di sviluppo sociale ed economico del Paese.

Angeli Franco

Presentazione di Ugo Rossi

 

Parte prima

1. La dirigenza pubblica alla prova: nuove funzioni e nuovi talenti di Mauro Marcantoni

Abstract

1.1. Le vie per l'efficienza pubblica

1.2. Le origini della cultura dirigenziale: gerarchia, risultato, network

1.3. Pubblica Amministrazione, tra pianificazione e adattamento

1.4. Identikit del nuovo dirigente pubblico

1.5. Configurazione strategica per la governance pubblica

1.6. Ammodernamento della Pubblica Amministrazione: produttività e monitoraggio

1.7. Riforma Madia: intenzioni e prime evidenze

Conclusioni

 

2. Il processo di riforma della dirigenza provinciale di Luca Comper

Abstract

2.1. L'insegnamento dei modelli

2.2. Cambiamenti possibili

2.3. Reclutamento, valutazione, incentivazione

2.4. La riforma della dirigenza nella Provincia autonoma di Trento

Conclusioni

 

Parte seconda “Istituzioni norme risultato”

Introduzione di Giovanni Tria

 

1. Lectio magistralis. Problematiche e rimedi per un'amministrazione orientata al risultato

di Sabino Cassese

Abstract

1.1. Le problematiche dell'amministrazione italiana

1.2. I rimedi alle carenze dell'amministrazione italiana

Conclusioni: un'amministrazione motore di sviluppo

 

2. Come innovare nella Pubblica Amministrazione di Luciano Hinna

Abstract

2.1. L'innovazione è una cosa seria

2.2. È necessario innovare?

2.3. Che cosa ha insegnato l'esperienza estera

2.4. È un problema di capitale umano o di modello organizzativo?

2.5. La proposta di un framework ed i suoi elementi

Conclusioni

3. Trasparenza, accountability, controllo. I tre pilastri per la prevenzione della corruzione di Ermanno Granelli

Abstract

3.1. L'accountability e il suo rapporto con accezioni ex ante ed ex post della responsabilità

3.2. La trasparenza da mero principio di attività a mezzo per raggiungere un fine

3.3. Gli obblighi di pubblicazione come mezzo per la trasparenza e i loro caratteri

3.4. Trasparenza e controllo diffuso della PA secondo logiche di “governo misurabile”

3.5. I diritti soggettivi alla trasparenza

3.6. Il codice di condotta: onore e senso di appartenenza per contrastare la corruzione

3.7. Principio di precauzione legato alla posizione istituzionale e danno all'immagine della PA

3.8. Trasparenza come tracciabilità dei processi, per un miglior risultato finale

Conclusioni

 

4. Le nuove frontiere della finanza pubblica: più responsabilità ma niente debito, meno imposte e meno spese di Gianfranco Cerea

Abstract

4.1. Italia: tra tasse, debito e spesa

4.2. Origini e correttivi del debito pubblico

4.3. La Pubblica Amministrazione motore per la crescita

4.4. Meno Stato e più mercato

4.5. Sistemi di governi competitivi

4.6. Le ragioni della disparità

Conclusioni

 

5. La Grammatica e la Pratica: come valutare gli effetti delle politiche pubbliche e la bontà delle norme che le regolano di Antonio Schizzerotto

Abstract

5.1. Una definizione di politica pubblica

5.2. L'assenza di una cultura della valutazione dal nostro Paese e i limiti logici dei processi di monitoraggio delle politiche pubbliche

5.3. La logica dell'approccio controfattuale

5.4. Modi di attuazione delle valutazioni di impatto di stampo controfattuale

Conclusioni

 

Lavori di gruppo

Gruppo 1 Ileana Olivo

Gruppo 2 Chiara Morandini

Gruppo 3 Roberto Andreatta

Gruppo 4 Valeria Trevisan

Gruppo 5 Gianluca Ievolella

Gruppo 6 Nicoletta Rizzoli

Gruppo 7 Alessandro Zorer

Gruppo 8 Silvano Librera

Gruppo 9 Claudio Martinelli

Gruppo 10 Giovanni Guarrera

Contributi

La dirigenza pubblica alla prova: nuove funzioni e nuovi talenti di Mauro Marcantoni

Abstract

Per il sistema pubblico si usa spesso la metafora della «macchina». Si dice che «la macchina pubblica» non funziona, che essa è anonima e astratta, mentre il sistema pubblico dovrebbe essere lì per servire i cittadini. Per questo, la Pubblica Amministrazione è chiamata a una grande sfida: deve riformare la propria cultura. Piuttosto che limitarsi ai puri adempimenti di processi amministrativi, deve creare sviluppo, essere efficace, tendere al miglioramento realizzando il cosiddetto «modello di apprendimento continuo». Deve, in pratica, adeguare il suo andamento alla corsa della società, perché la Pubblica Amministrazione della società è essa stessa sovrastruttura, lo strumento attraverso cui la società nella sua interezza decide di governarsi e di raggiungere obiettivi di carattere sociale.

 

Il processo di riforma della dirigenza provinciale di Luca Comper

Abstract

In un contesto sempre più mutevole come quello nel quale siamo immersi, anche alle organizzazioni pubbliche è richiesta una maggiore capacità di visione strategica e di co-evoluzione con la complessità circostante. Cambiamento deve partire innanzitutto da un diverso approccio ai problemi da parte del management. In che modo?

Diversi sono i modelli di riferimento, diverse le soluzioni adottate nei vari Paesi, pur con alcuni valori comuni, tra tutti: l'applicazione della trasparenza, il rinsaldamento della fiducia tra cittadino – Pubblica Amministrazione e politica e l'orientamento al risultato. Un processo complesso da realizzare, questo, ma assolutamente gestibile. Anzi, altamente sfidante.

 

Introduzione di Giovanni Tria

Crescita, innovazione e recupero di dinamismo dell'economia e della società italiana. Riformare la Pubblica Amministrazione italiana vuol dire anche questo.

Ma chi si occupa di crescita e sviluppo economico, non può evitare di porsi una domanda: perché in alcuni Paesi e in taluni territori, la produttività è più alta rispetto ad altri?

È questo un problema molto importante, da analizzare nella pratica, rilevando come le differenze nel capitale umano non spieghino del tutto questi divari. La letteratura economica ha, infatti, chiarito che queste differenze tra Paesi e tra le regioni dello stesso Paese, dipendono in misura rilevante da differenze nelle infrastrutture sociali, laddove per infrastrutture sociali si intendono le istituzioni e le politiche pubbliche che determinano quell'ambiente economico e istituzionale entro il quale gli individui sono invogliati ad accumulare competenze e le imprese sono invogliate ad accumulare capitale e a produrre.

Ora, lo Stato dovrebbe essere il più efficace fornitore di infrastrutture sociali e se per analogia si estende questo tipo di analisi a ciò che avviene all'interno delle organizzazioni o della Pubblica Amministrazione, si ritrova il concetto di meritocrazia, ovvero l'affermazione o la non affermazione della meritocrazia, da cui deriva la motivazione a migliorare le competenze e a sforzarsi di produrre benefici. In questo contesto, la Pubblica Amministrazione è parte fondamentale dell'infrastruttura sociale necessaria a un Paese per aumentare la produttività complessiva. Essa stessa deve creare un'infrastruttura sociale che possa fare la differenza, a parità di risorse finanziarie e di grado di istruzione dei suoi dirigenti, in termini di efficienza e produttività.

Ecco, dunque, la duplice faccia della Pubblica Amministrazione: come soggetto regolatore da una parte e come produttore di servizi dall'altra. Un ruolo complesso e importantissimo nel determinare il processo di innovazione di un Paese. Processo legato all'interazione virtuosa tra tre pilastri: il sistema delle imprese, il sistema scientifico, della ricerca e dell'istruzione e il government, cioè l'istituzione. Anche per questo, la Pubblica Amministrazione è chiamata a creare innovazione al suo interno, nel modo di svolgere le sue funzioni produttive e di servizi, ma anche e soprattutto nel suo modo di esercitare il ruolo di regolatore, affinché si possa determinare quel circuito virtuoso di innovazione tra imprese, ricerca scientifica, istruzione e istituzioni che potrà produrre sviluppo sociale ed economico.

 

Lectio magistralis. Problematiche e rimedi per un'amministrazione orientata al risultato di Sabino Cassese

Abstract

L'analisi dei rapporti tra norme, istituzioni e risultati può essere divisa in due ambiti, il primo di diagnosi delle problematiche che emergono dal trasformare le regole operative in risultati concreti e il secondo dedicato all'individuazione dei possibili rimedi.

Nel primo ambito è necessario interrogarsi sul perché le leggi e le altre norme primarie del nostro ordinamento vincolino troppo e male l'amministrazione. Un vincolo che si traduce nell'eccessiva concentrazione sui “processi” a scapito dell'orientamento al risultato. I punti nodali sono cinque.

Il primo riguarda il ruolo del principio di legalità, evidenziando come in Italia sia stata seguita un'interpretazione massimalistica di tale principio, che ha finito per legare le mani all'amministrazione. Il secondo chiama in causa la tendenza alla forte invasione degli spazi dell'azione amministrativa da parte delle assemblee rappresentative, siano esse il Parlamento o i Consigli degli enti territoriali. In terzo luogo si deve valutare un fenomeno antitetico, di assenza della politica dove – invece – essa dovrebbe essere presente, cioè nella formazione dei programmi di azione amministrativa, che si accompagna – ed è il quarto punto nodale – ad un negativo fenomeno di diffusa precarizzazione della dirigenza. Infine, un ruolo importante nella dinamica che va dalle regole ai risultati va riconosciuto alla moltiplicazione dei controlli, accompagnata da una deriva giurisdizionale degli stessi, per cui i controlli sono sostanzialmente di tipo giuridico e giudiziario e, spesso, inidonei a raggiungere i propri risultati.

Nel secondo ambito, invece, è necessario rispondere alla domanda di come uscire da questo circolo vizioso, migliorando il rapporto tra regole e risultati. Anche questo ambito è articolato in cinque punti nodali. Il primo è chiedersi se sia opportuno che le assemblee legislative si ritraggano maggiormente dagli spazi propri dell'amministrazione, a cui segue una riflessione sull'importanza, e sulla problematicità, di una maggiore stabilizzazione dei corpi politici che governano le amministrazioni. Il terzo e il quarto punto nodale riguardano, da un lato, la possibilità concreta di introdurre una dirigenza fondata sul merito anziché sulla precarietà e, dall'altro, se non sia il momento di “scoprire Taylor nell'amministrazione”, paradossalmente proprio quando il taylorismo sembra essere progressivamente superato nei processi industriali. La parte propositiva si chiude evidenziando l'opportunità di costituire una comunità epistemica intorno alla Pubblica Amministrazione, che sia meno dominata dall'approccio legalistico.

 

1.1. Le problematiche dell'amministrazione italiana

1.1.1. L'interpretazione del principio di legalità

L'accezione attualmente dominante del principio di legalità si può riassumere con un'espressione che è stata usata nel 1928 da Guido Zanobini, e che ha dato una forte impronta alla cultura giuridica amministrativa italiana affermatasi nella prima metà del '900. Secondo questa concezione, mentre al privato tutto è permesso salvo ciò che è espressamente vietato, alla Pubblica Amministrazione tutto è vietato eccetto ciò che è espressamente previsto dalle norme.

Questo dictum di Guido Zanobini ha sostanzialmente dominato tutta la cultura amministrativa italiana, dove per “cultura amministrativa” si intende non soltanto quella derivante dagli studi di dottrina, ma principalmente quella propria della stessa amministrazione. La Pubblica Amministrazione ha finito così per percepirsi come completamente vincolata dalla legge, creando un circolo vizioso nella propria capacità di ragionare in termini di risultati privilegiando la produzione normativa.

In sostanza, sulla base del principio così formulato, più leggi si facevano, più leggi era necessario fare, perché ogni area occupata dalla legge non può essere modificata, se non mediante una nuova legge. Questo dictum dunque ha innescato un circolo vizioso che presenta una forza di progressione esponenziale, portando ad una sovra-regolazione dell'attività amministrativa.

 

1.1.2. La commistione tra potere legislativo e amministrazione

A questo si è aggiunta l'invasione parlamentare nel governo e nell'amministrazione, con dei veri e propri “Parlamenti-amministratori”. Questa è infatti un'ulteriore tendenza, in base alla quale decisioni di non primaria rilevanza, o che addirittura in concreto non richiederebbero neppure un atto amministrativo formale, sono adottate con una legge.

Questo comporta, come conseguenza, una moltiplicazione delle leggi con connessa chiusura dell'amministrazione nell'ambito degli spazi ridotti fissati dalla norma. Il risultato ultimo è lo spostamento del potere amministrativo nelle mani di coloro che hanno anche il potere legislativo.

In tal modo, peraltro, viene tradito uno dei princìpi fondamentali, implicito negli ordinamenti moderni, negandosi quella separazione dei poteri che era già stata auspicata da Montesquieu, e che richiederebbe di valutare quanto in concreto – mediante questa eccessiva regolazione – si sia andati ad affidare allo stesso soggetto due poteri distinti.

 

1.1.3. La precarizzazione della dirigenza pubblica

Un ulteriore elemento di criticità nel rapporto tra regole e risultato è costituito dalla precarizzazione della dirigenza amministrativa. Questo profilo richiede un'analisi più complessa perché si è sviluppato in una fase storica particolarmente delicata, nella quale – a livello nazionale – il corpo politico perdeva il dominio di due corpi amministrativi complessi, costituiti dal sistema delle partecipazioni statali e dal sistema bancario. Quando, negli anni '90 dello scorso secolo, questi due corpi amministrativi sono stati oggetto di un processo dapprima di privatizzazione cosiddetta formale, seguita poi da una privatizzazione sostanziale, cioè dal passaggio della proprietà nelle mani di altri soggetti, si è venuta a perdere un'area molto vasta di influenza di cui il corpo politico in precedenza disponeva.

Questo è stato compensato dalla scoperta di quello che poi è stato definito impropriamente il sistema delle spoglie (spoil system) e che dovremmo più correttamente qualificare come sistema delle spoglie all'italiana, in quanto il modello originario – introdotto negli Stati Uniti d'America prima del Pendleton Act del 1886 – era un sistema che comportava la rotazione di tutti gli addetti pubblici con il passaggio di presidenza, ma con conseguente abbandono del posto e del rapporto di lavoro. Al contrario, in Italia questo sistema è stato introdotto con in parallelo la previsione del mantenimento del rapporto di lavoro, al cambio di titolarità nell'ufficio politico facendo seguito per il dirigente il solo abbandono della titolarità della funzione.

Questo sistema ha portato nell'amministrazione un significativo elemento di precarietà, che si è però accompagnata solitamente ad una lunga durata in carica degli amministratori pubblici; una durata molto più lunga di quella dei governi che avevano potere di nomina degli stessi.

 

1.1.4. Il fallimento della separazione tra politica e amministrazione

In questo contesto si deve riscontrare il fallimento della logica di separazione tra politica e amministrazione, che era stata accolta – come auspicato da tempo dalla cultura amministrativa italiana – non tanto per separare nettamente, ma più propriamente per distinguere il momento politico dal momento amministrativo. Questa logica trova la sua rappresentazione nel Decreto Legislativo 29 del 1993, ed è stata poi fatta oggetto di numerosi decreti correttivi negli anni successivi. L'idea di fondo degli istituti con cui tale logica era stata attuata era quindi che si potesse ricostruire la “catena di montaggio” della decisione pubblica distinguendo indirizzo, amministrazione/gestione e controllo; ciò affidando la prima e la terza attività al corpo politico e la seconda al corpo amministrativo.

L'idea della separazione tra politica e amministrazione è fallita per due motivi. In primo luogo perché essa era stata congeniata a partire da un assetto di dirigenza amministrativa stabile, così che una volta precarizzata – attraverso i vari modi di operare lo spoil system (e nel nostro ordinamento esiste una quarantina di specie di spoil system) – l'operatività di una simile divisione è diventata in concreto incerta e aggirabile. A fronte di tutto questo si è venuta affermando una condizione di precarietà dove i dirigenti rimangono comunque in carica per lunghi periodi, ma costantemente esposti all'esigenza di conferma nel ruolo con nuove nomine (e il rischio costante di essere rimossi, con conseguente forte dipendenza, anziché separazione, dell'amministrazione dalla politica).

In secondo luogo, la separazione tra politica e amministrazione è fallita per l'incapacità del corpo politico di determinare adeguati indirizzi politici dell'amministrazione. L'individuazione degli obiettivi nella mera routine dell'amministrazione, anziché in effettivi programmi di miglioramento (incentrati su fini, scopi e risultati), e l'assenza di credibili strumenti di misurazione quantitativi, fanno sì che l'indirizzo politico non sia altro che la riproduzione di ciò che è già scritto nelle norme. Quello stesso corpo politico che invade l'amministrazione non svolge quindi quella funzione che dovrebbe essere sua specifica, cioè la fissazione degli obiettivi, l'individuazione degli elementi quantitativi e la valutazione dei risultati.

 

1.1.5. I controlli formali e di tipo giurisdizionale

L'ultimo elemento della diagnosi delle disfunzioni nel rapporto tra norme e risultati è costituito dal fatto che vi è un'enorme abbondanza di controlli, ma tali controlli hanno preso la strada sbagliata della giuridiziarizzazione e del carattere formale delle relative verifiche.

L'attività di controllo, che è un'attività amministrativa, è così stata gestita da corpi e da persone formate secondo una mentalità di tipo giudiziario, quindi inserita in forme processuali e attribuita a organismi che mimano le procure penali e le attività dei pubblici ministeri. Da ciò emerge come sia stata messa al centro dell'attenzione una sola funzione, quella di intimorire l'amministratore pubblico, invece che – come dovrebbero essere connaturato ai controlli – quella di aiutare l'amministrazione a correggersi.

 

1.2. I rimedi alle carenze dell'amministrazione italiana

1.2.1. La delegificazione della disciplina dell'amministrazione

I singoli profili descritti determinano nel loro complesso una situazione problematica nella relazione tra norme, istituzioni e risultati; situazione dalla quale si può uscire innanzitutto con un passo indietro del Parlamento, come è già stato tentato mediante i processi della cosiddetta delegificazione.

Infatti, se il Parlamento si proponesse, per ogni legge che adotta, di provvedere alla delegificazione di almeno altre dieci o venti leggi, nel giro di un cinquantennio riusciremmo a spogliarci di questa enorme massa di provvedimenti normativi primari, che non fanno altro che gravare sull'amministrazione, senza migliorare i risultati della sua azione amministrativa.

Si tratta infatti di leggi che finiscono per essere solo di impedimento per l'amministrazione o, nel peggiore dei casi, che si traducono paradossalmente in un ulteriore elemento di discrezionalità. Ciò fa sì che di fronte a una pluralità ingestibile di leggi ci si trovi ad avere nuovamente ampi margini applicativi, secondo la nota massima che pare risalga a Giolitti, per cui “il diritto per gli amici va interpretato, per i nemici va applicato”. Questo è esattamente il risultato dell'amministrazione in un contesto con troppo elevato numero di leggi, che rende sia troppo pesante e gravosa l'attività amministrativa, sia poco controllabile e trasparente il suo processo decisionale.

 

1.2.2. Una dirigenza pubblica non precaria e selezionata per merito

Un secondo settore sul quale agire per risolvere le problematiche dell'amministrazione italiana nel senso di un'amministrazione di risultato è quello della dirigenza. Vi è infatti l'esigenza di avere una dirigenza amministrativa che sia tanto non governata dalla politica, quanto non precaria, e che possa invece essere retta in base al principio del merito.

Noi abbiamo delle esperienze molto chiare in questo settore, la cui origine storica va collocata nell'Inghilterra della metà dell'800 e nella Francia della metà del '900, quando si sono avute le due importanti rivoluzioni amministrative nelle relative organizzazioni dell'apparato pubblico: in Inghilterra con il rapporto Northcote e Trevelyan del 1854 e in Francia con un decreto, firmato da de Gaulle e Debrè, del 1946.

L'Inghilterra riformò le Università di Oxford e Cambridge, allora le uniche università inglesi, e abolì il political patronage introducendo il cosiddetto merit system nel civil service inglese. La Francia introdusse l'école nationale de administration. L'uno e l'altro modello sono quindi il frutto dell'idea – presa a prestito dagli illuministi francesi, che si trova in Voltaire, Diderot, Condorcet – che bisogna aprire la carriera ai “talenti”: la carriere ouvert au talent. E questa è un'idea penetrata persino nelle costituzioni rivoluzionarie francesi, e tradotta tecnicamente nel criterio per cui agli apici dell'amministrazione vanno collocate persone selezionate in base ai principi sia dell'uguaglianza, per cui tutti hanno eguale possibilità di accesso alle selezioni, sia del merito, per cui tutti debbono essere selezionati in base ad un criterio competitivo.

Idea che peraltro gli illuministi francesi avevano tratto dai resoconti che i missionari italiani facevano dei loro viaggi in Cina, dove erano rimasti impressionati da quel sistema che si chiama, con lingua moderna, guam liao e che, invece, nella lingua antica cinese si definiva so dai fu, cioè il cosiddetto sistema dei mandarini. E proprio a quell'esperienza risale il principio fondamentale per cui all'apice della Pubblica Amministrazione occorre siano collocate delle persone capaci, che siano state scelte in base alle loro qualità e ai loro talenti. Più in particolare, queste qualità e questi talenti debbono essere misurati in modo comparativo e vanno valutati non in base all'appartenenza politica o alla lealtà politica, ma al criterio del merito, delle capacità e dell'esperienza di ciascuno di chi concorrono. Questo principio si ritrova anche nella Costituzione Italiana, all'art. 97, come criterio che noi chiamiamo del concorso pubblico, ma la sua attuazione nella pratica è carente.

 

1.2.3. La stabilità dei governi e la continuità delle politiche

Il terzo possibile profilo di intervento è più generale, collocandosi alle spalle del sistema amministrativo, ed è costituito dal fatto che quel corpo politico che ha precarizzato la Pubblica Amministrazione è – a sua volta – precario.

Il problema dell'instabilità degli esecutivi italiani – in particolare rispetto alle esperienze dei nostri partner europei – è evidente: basti ricordare che il Governo della Repubblica italiana che oggi è in carica è il 63° e che, nello stesso periodo di tempo, la Germania ha avuto 24 governi e soltanto 8 cancellieri.

In questo quadro di fatto, la precarietà dei Governi produce anche la precarietà delle politiche, e la precarietà delle politiche genera la precarietà degli indirizzi amministrativi, della guida dell'amministrazione. Il corpo politico preposto all'azione amministrativa dovrebbe infatti dare direttive al corpo amministrativo, agli alti burocrati, determinando degli indirizzi, degli obiettivi da mantenere costanti in un ragionevole periodo di tempo. Al contrario, il tasso di attuazione delle leggi in Italia è bassissimo proprio perché il succedersi dei Governo fa sì che l'esecutivo entrante non percepisca come una priorità l'attuazione di una legge che è stata determinata dal Governo precedente. Provvedimenti legislativi efficaci, così, perdono prematuramente di attualità nell'agenda dell'attuazione amministrativa.

La discontinuità delle politiche diventa poi discontinuità dell'amministrazione, e disorientamento delle pubbliche amministrazioni, accompagnandosi ad una generale precarietà dell'agire amministrativo. E tutto ciò porta o a sbandamenti continui nell'azione amministrativa, o ad atteggiamenti di tipo “i governi passano, l'amministrazione resta” – come era già stato scritto da Otto Mayer nella terza edizione del Deutsches Verwaltungsrecht – con una sostituzione dell'amministrazione al potere politico, tanto dannosa quanto il fenomeno inverso.

 

1.2.4. Il taylorismo nella Pubblica Amministrazione

Un ulteriore profilo di necessaria innovazione nella Pubblica Amministrazione è legato agli spazi per una riscoperta del taylorismo. Frederic Taylor era un giovane ingegnere quando fu assunto dall'impresa siderurgica Bethlehem steel che in quel momento era una delle più importanti imprese siderurgiche americane. Quello che poi è stato chiamato scientific management, il fordismo, nasce per la semplice esigenza di ottimizzare il lavoro di operai non specializzati, razionalizzandone i movimenti in modo da semplificare le operazioni da apprendere e ridurre i tempi.

Il taylorismo nasce quindi dall'analisi delle operazioni elementari ed esecutive, sebbene poi naturalmente si sia diffuso e sviluppato, dando luogo a riflessioni e a nuovi metodi di gestione del lavoro, così che oggi può essere considerato superato nella teoria dell'organizzazione. Ciò che rimane di quell'esperienza, comunque, è il suo basarsi su un'analisi accurata dei modelli organizzativi e delle sequenze procedimentali.

Nell'ordinamento italiano, a fronte di queste esigenze di analisi, i legislatori non si preoccupano, ogni volta che si introduce una legge, di prestare attenzione alle sequenze amministrative che si stanno introducendo nella realizzazione del prodotto. Il procedimento amministrativo è infatti una sequenza di provvedimenti, di atti e di operazioni; sequenza sulla quale però un'analisi davvero scientifica non viene mai effettuata e, quindi, il legislatore tende ad introdurre anche operazioni irrazionali o diseconomiche, contrarie alle logiche di quello che era stato il taylorismo. Ne derivano quindi delle sequenze irrazionali e, per ridurre l'irrazionalità, si creano le conferenze di servizi producendo ulteriore complessità.

La legge sul procedimento amministrativo dovrebbe essere un vero Codice della Pubblica Amministrazione, mentre è un testo normativo soggetto a continui cambiamenti e all'introduzione di nuovi elementi di complessità. Della codificazione manca quindi proprio la stabilità e la razionalità, e tutta questa instabilità deriva dal fatto che l'amministrazione italiana opera al di fuori di logiche tayloriste, senza avere mai scoperto la gestione scientifica del management, cioè dell'amministrazione.

In Italia vi è quindi una scarsa diffusione della cultura organizzativa, anche nel settore privato e in particolare nell'organizzazione delle imprese fornitrici dei servizi (anche appunto non pubblici), quali telefonia, servizi elettrici o della distribuzione del gas, etc. E tale scarsa cultura deriva dalle circostanze storiche della tarda unità nazionale italiana. Negli Stati nazione, infatti, hanno avuto un ruolo rilevante due grandi centri di diffusione e sviluppo di cultura organizzativa, individuabili chiaramente negli eserciti e nelle fabbriche. Gli eserciti per i profili di gerarchia e sequenza degli ordini e le fabbriche per il recepimento del taylorismo. In Italia, invece, né le forze armate né l'industria hanno avuto un ruolo analogo a quello giocato in altri Paesi e, quindi, tale carenza presenta un riflesso negativo nell'amministrazione, come generale mancanza di cultura organizzativa.

 

1.2.5. Una comunità epistemica della Pubblica Amministrazione

L'ultimo profilo di intervento – per rafforzare la logica di risultato nella Pubblica Amministrazione – potrebbe essere costituito dalla formazione di una comunità epistemica meno legalistica. Le amministrazioni non vivono infatti nel vuoto, ma nella società, e riflettono le debolezze della società italiana, caratterizzata da una cultura organizzativa poco matura. Vivono inoltre alle dipendenze della politica, e soffrono gli influssi negativi derivanti sia dal debordare della politica, sia dall'assenza della politica. Le amministrazioni però vivono anche della cultura che esse stesse producono e della cultura che su di esse si conforma e si svolge il fenomeno amministrativo.

Chiedendosi cosa ha prodotto l'azione amministrativa italiana dal suo interno, e quanto abbia aiutato la politica e la cultura accademica a conoscere i fatti che la riguardano, ci si trova a dover ammettere che la cultura dell'amministrazione italiana ha prodotto meno di quella di altri Paesi occidentali. In verità è possibile individuare solamente un breve periodo, di circa un decennio, nel quale la cultura amministrativa è stata presente nella cultura generale del Paese, e tale fase è identificabile nella seconda parte del ventennio giolittiano, quando grazie a Filippo Turati la voce di molti dipendenti pubblici si è fatta sentire nel mondo scientifico e nel mondo politico. Successivamente vi è stato un generale silenzio dell'amministrazione rinchiusa in se stessa e l'immagine del burocrate è stata lasciata al giornalismo scandalistico.

Eppure gli amministratori pubblici, che vengono accusati di essere una “casta”, avrebbero interesse a esporre la posizione dell'amministrazione e le sue debolezze, proponendo soluzioni. Il problema è allora connesso al fatto che quella degli amministratori pubblici non è una “casta”, e questa carenza di organicità e coesione del corpo amministrativo si è sentita nel Paese, e ha creato un vuoto che è stato riempito da altri poteri, che hanno ricucito addosso all'amministrazione pubblica un'immagine – tra l'altro negativa – senza aiutare gli stessi amministratori a uscire da questa impasse. Va quindi riconosciuto che la realtà italiana è caratterizzata da amministratori pubblici che conoscono la diagnosi e che tuttavia non assumono l'iniziativa di fronte all'opinione pubblica, oppure che capiscono quali soluzioni sarebbero possibili, ma non attivano un dibattito interno per svilupparle.

Infine vi è un altro piano, quello della cultura di coloro che studiano l'amministrazione, e anch'esso presenta delle debolezze nella misura in cui è dominato da una prospettiva giuridica, mentre altre scienze non si sono dedicate con analoga intensità allo studio dell'amministrazione. Manca quindi un'analisi che parta da dati empirici, di tipo politologico o economicistico, di rilevanza analoga all'analisi invece giuridica.

 

Conclusioni: un'amministrazione motore di sviluppo

Il quadro delle criticità e delle soluzioni è così molto ampio e tocca ambiti che riguardano la società, la politica e la cultura. E vi è un'assenza sia della società, sia della politica, sia della cultura nel curarsi del fenomeno amministrativo, ma soprattutto vi è un'assenza del corpo amministrativo stesso, che è stato soggiogato ad altre logiche.

In questo senso anche l'idea del cambiamento andrebbe riformulata, perché noi pensiamo sempre che il cambiamento sia quello di un corpo che è fermo e che si sposta da un luogo nel quale sta, ad un altro nel quale è destinato a restare nuovamente fermo. Questa è una prospettiva sbagliata per una vera riforma, perché l'amministrazione non può essere che in un continuo cambiamento. Non si può pensare che l'amministrazione si muova da un luogo, cambi e quindi migliori, e poi si accontenti di essere migliore. Questa è un'idea scorretta, per il semplice fatto che nel frattempo sono mutate le circostanze e le domande sociali, e i risultati che debbono essere raggiunti dall'amministrazione sono quindi di nuovo diversi.

Nei trattati dell'Unione Europea si fa riferimento all'obiettivo di realizzare “un'unione sempre più stretta”. In quel concetto di “sempre più” vi è l'idea di qualcosa che non sta mai fermo, di qualcosa che può avere un determinato Trattato oggi, ma si sa che quel Trattato è precario, perché nasce proprio per realizzare gradi maggiori di integrazione. E ciò che è necessario fare è proprio trasporre questa idea nella Pubblica Amministrazione: l'idea che sia in continuo cambiamento e che per cambiare continuamente si devono accettare le regole del movimento, si deve accettare di non rimanere mai immobili. L'amministrazione dovrebbe quindi, innanzitutto, cercare di essere essa stessa il motore del cambiamento.

 

Come innovare nella Pubblica Amministrazione di Luciano Hinna

Abstract

Ciò che si prefigge questo intervento è provare a classificare in una mappa concettuale, un framework, gli elementi che, possono essere gli elementi che favoriscono l'innovazione nella PA; se gli stessi elementi non sono messi invece che innovazione creano solo ulteriore burocrazia.

Prima di proporre il framework ci si interroga su che cosa si intenda per innovazione e che cosa ha insegnato l'esperienza estera in occasione del premio Eipa per l'innovazione.

Analizzata la logica e l'utilità del framework per leggere le riforme passate, attuali e quelle future, si è passato velocemente in rassegna i vari elementi del framework – tutto noti e conosciuti – arrivando alla conclusione che senza la realizzazione dei fattori abilitanti, che sono alla fine dei conti elementi culturali, ha radici deboli e basi instabili. Il problema non è tanto di priorità quanto di propedeuticità.

 

Trasparenza, accountability, controllo. I tre pilastri per la prevenzione della corruzione di Ermanno Granelli

Abstract

I temi della trasparenza, dell'accountability e del controllo – specie in connessione con l'esigenza di prevenzione della corruzione – sono oggi di strettissima attualità, e non solo sul piano penalistico, ma anche per le potenzialità innovative del sistema di prevenzione della corruzione all'interno degli stessi meccanismi dell'amministrazione.

Questo profilo della tematica non è nuovo, e già per la Legge 241/1990 l'attività amministrativa è di per sé retta da criteri tra i quali campeggia il principio della trasparenza. Non mancano però anche normative di dettaglio specificative di tale principio, che hanno appunto reso sempre più attuale il suo utilizzo per il contrasto della corruzione nel funzionamento della Pubblica Amministrazione.

L'Italia ha sottoscritto nel 2003, a Merita in Messico, la convenzione Onu anticorruzione, ratificata con Legge 116/2009. Più di recente, l'articolo 1, comma 1, della Legge 190/2012 fa espresso riferimento all'attuazione di due convenzioni in materia di prevenzione e contrasto alla corruzione: in particolare la convenzione penale di Strasburgo del 1999, ratificata con legge del 2012, e la convenzione amministrativa anticorruzione di Merita, già ratificata e a cui appunto la Legge 190/2012 ha dato concreto seguito.

Questo mette in evidenza che la corruzione va trattata secondo due profili, inevitabilmente connessi tra loro: il profilo penalistico e il profilo amministrativistico. Va notato che la maggioranza dei commi dell'articolo 1 della Legge 190/2012 è dedicata al profilo amministrativistico dell'attuazione della lotta alla corruzione, mentre ci sono pochi commi di carattere penale. Questo evidenzia come grande attenzione sia stata data ai principi amministrativistici di trasparenza, accountability e controllo.

Si delineano così i profili delle nuove norme anticorruzione, sia di carattere internazionale sia di carattere interno, che incidono profondamente e attualizzano il nostro diritto amministrativo.

 

Le nuove frontiere della finanza pubblica: più responsabilità ma niente debito, meno imposte e meno spese di Gianfranco Cerea

Abstract

La parola cambiamento è già risuonata più volte e, da studioso di finanza pubblica, mi corre l'obbligo di usarla un'altra volta ancora. Come mai? Perché il cambiamento attraversa la società in ogni momento, sia in senso positivo che negativo. Impone decisioni e produce conseguenze.

Molte delle differenze economiche e culturali che oggi sono alla base del cosiddetto dualismo italiano, infatti, risalgono a decine, se non anche centinaia di anni fa: sono frutto di scelte pregresse, di visioni (in)espresse e differenziate, di fronte alle quali la Pubblica Amministrazione ha assunto il ruolo di guida, è stata chiamata a uno sforzo, lo stesso che si ripropone anche oggi: l'impegno del cambiamento, l'incognita dell'innovazione, la sfida del riuscire a migliorarsi. Vediamo come.

 

La Grammatica e la Pratica: come valutare gli effetti delle politiche pubbliche e la bontà delle norme che le regolano di Antonio Schizzerotto

Abstract

L'efficacia dell'intervento pubblico deve essere valutata in modi rigorosi, non distorti da considerazioni interessate o da pregiudizi ideologici, o anche solo da opinioni approssimative, prive di solide evidenze empiriche. Ciò significa che i suoi effetti devono essere misurati in termini oggettivi e sulla base di procedure analitiche robuste. Soprattutto in questo periodo in cui i bilanci pubblici si restringono, le Amministrazioni Pubbliche debbono, infatti, riuscire a provare che i soldi spesi per attuare gli interventi da esse deliberati ed attuati sono soldi spesi bene in quanto migliorano le condizioni di vita delle collettività da esse governate o, almeno, impediscono che esse peggiorino.

Si tratta, quindi, di stabilire quali siano le modalità più appropriate per effettuare questa valutazione e per portare queste prove. Esistono buone ragioni (che cercherò di esporre tra breve) per sostenere che l'approccio controfattuale, e le specifiche tecniche sulle quali esso poggia, rappresentino la via migliore per individuare gli impatti effettivi di una politica pubblica.

Prima di illustrare, sia pure solo per sommi capi, i lineamenti basilari di questo metodo è opportuno chiarire cosa sia una politica pubblica e quale sia il problema cognitivo che sottostà alla sua valutazione. Ciò in quanto in Italia, la cultura della valutazione degli interventi della Pubblica Amministrazione centrale e locale non si è ancora affermata presso gli studiosi, i decisori politici, i funzionari pubblici e, più in generale, la pubblica opinione.

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