Una nuova classe dirigente per una nuova Autonomia
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Una nuova classe dirigente per una nuova Autonomia

Rapporto sulla dirigenza della Provincia autonoma di Trento

Mauro Marcantoni

Quarta di copertina

Come deve cambiare l'Autonomia trentina per rispondere al mondo globalizzato senza perdere la propria identità e i livelli di sviluppo raggiunti? È questo il tema principale del Rapporto Una nuova classe dirigente per una nuova Autonomia: un lavoro articolato e importante realizzato attraverso un'indagine capillare sulla percezione che i dirigenti della Provincia autonoma di Trento hanno del loro lavoro e sulle osservazioni formulate in proposito dai principali stakeholder del territorio.

Si realizza così un viaggio attraverso i punti di forza e di debolezza dei vertici della burocrazia provinciale, con l'obiettivo di valorizzare il capitale di esperienza custodito nell'Autonomia per gestire nel modo migliore il nuovo ciclo che si sta aprendo.

Con dati, analisi e interpretazioni, questo Rapporto fa emergere le strategie, le dotazioni culturali e professionali, le condizioni da attivare per attrezzare la dirigenza provinciale ad affrontare le sfide che il nostro tempo pone al Trentino, alle sue Istituzioni e alle espressioni più avvertite delle sue Comunità.

Presentazione

Considerazioni introduttive

 

1. Una strategia di apertura dei confini, a partire da quelli amministrativi

2. Riprogettare un “motore” dell'autonomia a resa più elevata

3. L'esigenza di creare un establishment pubblico appropriato

4. Una necessaria convergenza di sistema

4.1. Andare oltre la logica della competenza settoriale

4.2. Insistere sulle competenze e sui comportamenti manageriali

4.3. Rafforzare i processi di programmazione, misurazione e accountability

4.4. Puntare sul fattore relazione nella gestione delle risorse umane

4.5. Perseguire la semplificazione agendo sulle norme, sulla mentalità e sulla deontologia

5. Interpretazione delle dinamiche reali e promozione di una responsabilità diffusa per trasformare la dirigenza pubblica

 

CAPITOLO PRIMO

La consapevolezza di un ruolo in (necessaria) trasformazione dei dirigenti pubblici

1. L'uscita dalla crisi tramite la “leva” della Pubblica amministrazione

1.1. La percezione di una specificità della dirigenza pubblica locale

1.2. L'Autonomia tra la non conoscenza nazionale e locale e le spinte neocentralistiche

1.3. L'esigenza di assumersi l'onere di una maggiore responsabilità a tutti i livelli

2. L'evoluzione percepita del ruolo da parte dei dirigenti pubblici

2.1. Un'autonomia elevata ma registrata in diminuzione rispetto al passato

2.2. Una valutazione da parte dell'Amministrazione stimata in contrazione

2.3. Un sistema di controllo dei risultati non ancora soddisfacente

2.4. Un contesto di relativa flessibilità nelle procedure e di informalità nelle relazioni tra le persone

2.5. I problemi fondamentali relativi alla gestione dei collaboratori

2.6. Un ruolo in sommovimento nel tempo

3. Una buona autopercezione identitaria

3.1. Un'immagine pubblica legata ad un'elevata responsabilità, ma anche a un relativo privilegio

3.2. Un'identificazione elevata nel ruolo, ma con qualche riserva

3.3. Una posizione di consistente appartenenza alla classe dirigente del Trentino

4. Una classe dirigente pubblica in grado di accompagnare lo sviluppo

4.1. La capacità di interpretare il territorio, con le relative conseguenze sul ruolo esercitato

4.2. Una necessaria politica attiva per il personale

4.3. Una domanda di formazione in crescita sul piano delle competenze interpretative e di processo

 

CAPITOLO SECONDO

Le valutazioni degli stakeholder a confronto con quelle dei dirigenti pubblici

1. Una richiesta di trasformazione pronunciata di fronte ad un'Autonomia da presidiare

1.1. Un'evoluzione più incisiva del ruolo della dirigenza pubblica

1.2. Un'elevata (e condivisa) consapevolezza del valore dell'Autonomia

1.3. Un'accentuazione dei principi di responsabilità diffusa

2. Una valutazione divaricata tra autonomia di ruolo e immagine del dirigente pubblico

2.1. Il riconoscimento dei problemi di gestione del personale

2.2. Una minore autonomia percepita rispetto alla politica, ma una valorizzazione del ruolo sociale del dirigente pubblico

 

CAPITOLO TERZO

Allegati

La metodologia adottata

Considerazioni introduttive

1. Una strategia di apertura dei confini, a partire da quelli amministrativi

L'autonomia è un oggetto complesso. Forse più di quello che comunemente si crede. Le competenze esercitate sono molte: dall'istruzione, all'economia e al lavoro; dall'urbanistica ai beni culturali; dalla salute alle politiche sociali, dalle opere pubbliche all'energia elettrica; dalla Protezione civile agli Enti locali.

Intorno a questa ampia e variegata gamma di competenze, nella dirigenza provinciale è cresciuto, si potrebbe dire dal basso, uno straordinario livello di professionalità. Si doveva esercitare una competenza e, senza poter copiare da altre esperienze, si doveva trovare da soli il modo di farlo. E lo si è fatto. Così quella che nel tempo si è consolidata è una professionalità di “mestiere” sostenuta nel suo crescere dal severo giudizio dell'esperienza vissuta. Una professionalità non vocata a partire dalle visioni generali per arrivare alle scelte di dettaglio, ma seguendo esattamente il percorso inverso: dal particolare, al generale.

Si potrebbe obiettare che la Provincia autonoma di Trento abbia adottato il metodo della programmazione da più di trent'anni. È vero, ma fino a “ieri” fa l'organizzazione della Provincia era fortemente incentrata sui Servizi: ed era nei singoli Servizi che avveniva l'incontro più significativo tra l'azione pubblica e i bisogni del cittadino o delle imprese, mentre i Dirigenti Generali avevano in realtà poteri limitati e il Segretario generale era, di fatto, un primus inter pares rispetto a questi ultimi. E del resto ai Servizi, proprio per la loro “presa diretta” si riferivano spesso e direttamente anche gli stessi Assessori.

Questa professionalità nata dal basso, pur pregevole, oggi non è più sufficiente per l'effetto congiunto delle dinamiche globali, della complessità sociale e del calo delle risorse pubbliche. Per governare la nuova Provincia servono competenze strategiche, di programmazione, di coordinamento e di controllo che non subiscano ma sappiano guidare l'azione dei singoli Servizi e degli stakeholder a cui si riferiscono. Questo non significa rinunciare al pregio delle competenze di settore, ma saperle indirizzare, integrare tra loro e coordinare.

Un'operazione delicata che non ha bisogno solo di rompere i confini tra una competenza e l'altra: tra turismo, cultura, artigianato, istruzione e così via. C'è bisogno di rompere anche altri confini, innanzitutto quelli amministrativi. Non si può fare politica industriale limitandosi allo spazio che intercorre tra Salorno e Borghetto. E questo vale per l'esercizio di ogni altra competenza, anche quelle che sembrerebbero più legate alle specificità del territorio. C'è poi bisogno di rompere i confini interni al territorio provinciale tra campa­nili, corporazioni, piccole e grandi rendite di posizione. Non si cresce se imbrigliati. Si deve poter valutare il senso e il merito di quello che si fa. Non si può competere con l'esterno se all'interno si litiga o ci si elìde a vicenda. Infine: è necessario rompere i confini che dividono il presente dal passato e dal futuro. Solo così si può dare unità e senso al nuovo modo di fare autonomia.

 

2. Riprogettare un “motore” dell'autonomia a resa più elevata

Cambiare non significa mettere semplicisticamente da parte il modello di intervento pubblico che abbiamo costruito fino ad oggi. Anzi, deve essere salvaguardato, pur con i necessari aggiustamenti. In questi anni di espansione l'ambito pubblico si è allargato. Sono nati nuovi soggetti gestiti direttamente dal sistema Provincia; sono state sviluppate politiche di supporto all'imprenditoria mirate e appropriate; il welfare si è allargato strutturalmente sia con servizi nuovi sia con il miglioramento di quelli esistenti; sono state realizzate imponenti e diffuse reti e opere infrastrutturali per rendere più efficiente il territorio; la nostra stessa autonomia ha generato nuove forme di partecipazione, e anche nuove spese (la democrazia ha un suo costo, come lo hanno la coesione sociale e il sostegno allo sviluppo).

Abbiamo vissuto anni di crescita che non vanno ridotti nel valore o nella loro necessarietà, ma che richiedono un deciso ripensamento per rilanciarli adattandoli ai nuovi scenari in cui oggi ci troviamo a vivere e a operare. Un percorso che – proprio perché non vogliamo ridiscutere pesantemente gli standard di vita fino ad oggi acquisiti – impone un eccezionale sforzo di revisione dei tradizionali modi di fare amministrazione con l'obiettivo, difficile ma possibile, di ritrovare un nuovo e soddisfacente equilibrio tra bisogni e risorse. Un percorso che impone tagli di bilancio, ma che non può limitarsi ai tagli di bilancio. Il problema da risolvere è quindi come si può fronteggiare la riduzione di risorse pubbliche senza compromettere gli standard di qualità della vita fino ad oggi raggiunti.

Una soluzione c'è. Qualunque motore, anche quello dello sviluppo, se è stato progettato per consumare molto e vogliamo farlo consumare meno non possiamo pensare che sia sufficiente stringere il cannello della benzina. Dobbiamo riprogettare il motore. Questa è la sfida che ci attende, come istituzioni e ancor più come comunità trentina. La mera politica dei tagli non paga. È necessario trovare un diverso modo di spendere, un modo per far fruttare meglio le nostre risorse. E l'obiettivo è saperlo fare senza impoverirci, anzi rendendo più forti e competitive le nostre chances di sviluppo. La nostra fortuna è poter contare su un'eredità solida, non solo materiale ma anche e soprattutto morale. Un'eredità che dobbiamo saper raccogliere e conciliare con i nuovi scenari che il dopo crisi ha reso evidenti e dirompenti.

Il punto di forza dell'Autonomia trentina è che non parte da zero, bensì da una lunga esperienza che ha dimostrato di saper accompagnare in modo adeguato i processi di sviluppo. In questi ultimi cinquant'anni, infatti, il Trentino è la provincia italiana che ha registrato il più elevato incremento del PIL, partendo da situazioni di sottosviluppo e collocandosi ai vertici delle graduatorie sulla qualità della vita. È grazie a questo patrimonio che oggi si può pensare di fare ancora un passo in avanti, facendo leva proprio sull'esperienza accumulata per proiettarsi più in là, migliorando ulteriormente le prestazioni consolidate.

 

3. L'esigenza di creare un establishment pubblico appropriato

Un cambiamento così radicale nel modo di essere e di agire della Provincia autonoma non può avvenire senza il coinvolgimento diretto della dirigenza, che di questo cambiamento è una componente cruciale. È questa la ragione che ci ha indotti ad effettuare un'indagine sul campo che da un lato ha raccolto la percezione che la stessa dirigenza ha di se stessa, del proprio ruolo, dei punti di debolezza e forza con cui si deve misurare; dall'altro ha chiesto l'opinione dei principali “utilizzatori” della Pubblica amministrazione, cioè i soggetti che rappresentano le varie anime della convivenza – da quella economica a quella sociale – e che con la dirigenza pubblica si devono rapportare, in osmosi arricchente e creativa.

Ne è uscito un panorama di indicazioni e di spunti preziosi sia per lo sforzo culturale ed organizzativo necessario per ammodernare la macchina provinciale, sia per dare alla formazione e all'aggiornamento quel “di più” di chiarezza di obiettivi, contenuti e metodi, indispensabile per gestire, e non subire, i mutamenti in atto.

Segnali incoraggianti ci sono. Come dimostra lo studio che presentiamo, nella dirigenza pubblica trentina il tema del cambiamento è più che avvertito. È sentito come indispensabile. Non più rinviabile. E alle domande sulla necessità di una svolta, la stragrande maggioranza degli intervistati – pur con diverse variazioni d'intensità a seconda delle domande – risponde che «è necessaria». E il contrappunto offerto dagli stakeholder coinvolti nella ricerca conferma e sollecita.

Nonostante ciò il cambiamento non è facile, né automatico. Per essere messo in pratica ha bisogno del movimento concentrico di almeno tre elementi: uno di tipo culturale, l'altro organizzativo e infine normativo.

Senza una profonda sincronia tra questi tre ambiti nulla può veramente mutare. Se a una presa di coscienza e un'assunzione di responsabilità da parte del sistema pubblico non corrisponde una modificazione organizza­tiva del lavoro, il cambiamento di mentalità non può produrre i suoi effetti benefici. Viceversa sarebbe inutile modificare l'impianto organizzativo se le persone che continuano a lavorare dentro il sistema non avessero compiuto quel percorso – oseremmo dire – interiore, capace di accendere dentro di sé la consapevolezza che occorre mettersi in cammino su un sentiero diverso da quello che sinora è stato realizzato, come nel nostro caso è invece avvenuto. Infine – come accennato – è necessaria una modifica delle norme e dell'ordinamento che regolano l'amministrazione, al netto delle quali anche il migliore dei lavori compiuti negli altri due settori, quello organizzativo e quello culturale, non produrrebbe nessun effetto concreto.

Abbiamo voluto precisare l'esigenza di una coralità in modo da tenerla sempre presente, dal momento che il Rapporto si occuperà soltanto del primo dei fattori relativi al cambiamento, ossia quello culturale. Occorrerà quindi tenere conto che affronteremo un solo aspetto – benché importante – della questione, che lasciato a se stesso sarebbe incapace di produrre gli effetti desiderati, anche al di là delle buone intenzioni.

 

4. Una necessaria convergenza di sistema

È ovvio che il cambio di paradigma di cui si avverte la necessità non avverrà per magia, ma ci vorrà innanzitutto una presa di coscienza a cui dovrà seguire un'assunzione di responsabilità senza precedenti.

Promuovere il cambiamento, implica l'adozione di un approccio nuovo, da parte di quanti – studiosi, esperti e politici – sono chiamati a definirne le linee di fondo, i metodi e gli obiettivi, e tanto più da parte di coloro che devono «attuare» il cambiamento. È la dirigenza a costituire lo snodo essenziale tra la parte politica e il corpo organizzativo, deputato a gestire l'attuazione concreta delle scelte effettuate a livello strategico.

Non si deve però commettere un errore che sarebbe veramente grave: quello cioè di considerare il cambiamento in contrapposizione a ciò che è stato fatto sino a qui, alla storia e al passato della dirigenza trentina. Al contrario un vero salto in avanti può realizzarsi pienamente solo se il cambio di rotta avverrà facendo tesoro del bagaglio dell'autonomia, rimodulandola e proiettandola nel futuro. L'apertura al mondo e all'innovazione deve camminare mano nella mano con una identità forte, una coscienza dei risultati e degli avanzamenti ottenuti, elementi grazie ai quali è possibile immaginare un rilancio di questa storia di successo anche per l'avvenire.

Chi sono e chi devono essere i soggetti di questo rilancio? In un contesto che per essere competitivo ha bisogno dell'azione forte e sincronica di tutti i suoi attori, pubblici e privati, la risposta non può che essere una “convergenza di sistema” che riguarda, oltre la politica ovviamente, la dirigenza pubblica da un lato e gli utenti dall'altro: sapendo che entrambi debbono cambiare pensiero ed allargare le proprie aree di responsabilità. L'insieme dei protagonisti e delle relative dinamiche, se ben costruito e accompagnato, può permettere di compiere un significativo passo in avanti (a prescindere dunque dagli approcci contrappositivi, ispirati ad una lotta “contro” anziché ad una alleanza “con” la pubblica amministrazione). E questo vale ancora di più in una realtà, come quella trentina, che sconta le sue piccole dimensioni e una struttura orografica ampia e decentrata. Una sinergia di sistema di cui è parte importante l'Autonomia in tutte le sue competenze e funzioni, con la sua guida politica, ma anche, e in questo caso soprattutto, di quella burocratica. Non vi è dubbio, ed è appunto per questo, che la dirigenza pubblica trentina dovrà giocare un ruolo di primo piano. Solo così sarà possibile imboccare l'unica strada che può assicurare un percorso che senza negare anzi, esaltando, le nostre peculiarità istituzionali, sociali e territoriali, sappia rapportarsi con un mondo che cambia e che ci pone ogni giorno sfide nuove e impegnative.

Se guardiamo alla dirigenza provinciale, tenendo conto dei risultati di questo Rapporto, gli elementi imprescindibili del cambiamento sono, essenzialmente, cinque: una capacità di visione che sappia indirizzare e coordinare gli interventi di settore; una gestione più manageriale vocata all'efficienza, all'efficacia e al “fare meglio con meno”; una misurazione dei risultati che sappia cogliere ed apprezzare la globalità dell'azione messa in atto; una gestione delle risorse umane che valorizzi al meglio motivazioni e competenze con i vincoli di un'organizzazione pubblica; e infine la semplificazione delle procedure in ogni ambito, dall'erogazione di prestazioni e servizi all'accountability.

L'insieme coordinato di questi elementi, può fare del cambiamento non solo un obiettivo auspicato, ma un risultato ottenuto, pur nella gradualità nei tempi e nei modi che i processi di questo tipo impongono.

4.1. Andare oltre la logica della competenza settoriale

Uno dei meriti più grandi dell'amministrazione trentina – l'essere un'amministrazione di mestiere – oggi è diventato paradossalmente un limite. La dirigenza si è formata e si è organizzata intorno alle singole competenze che le sono state via via assegnate e che ad ogni occasione sono state svolte nel migliore dei modi. L'autonomia però non si è mai posta con sufficiente incisività l'obiettivo di elevarle a sistema, di farle funzionare come un insieme, costruendo una struttura dove le competenze – la miniera dei saperi e delle potenzialità operative custodite dall'Autonomia – lavorassero congiunta­mente verso un'unica direzione, seguendo una strategia e una visione di lungo periodo. È quello che occorre fare. E per realizzarlo è necessario che i manager pubblici trentini acquisiscano maggiori responsabilità di sistema. Senza comunque perdere di vista il valore delle competenze di settore.

Finora si è imposta una logica che non ha dato il giusto peso ad aspetti di fondamentale importanza, verso i quali adesso si devono puntare gli sforzi dei decisori pubblici. Ci riferiamo alla visione di insieme e ad un adeguato approccio alla complessità dove risultano prioritari elementi come l'orientamento strategico e il coordinamento intersettoriale. Siamo parte di un sistema complesso e siamo dotati di una razionalità limitata. I nostri obiettivi sono spesso e inevitabilmente definiti in maniera approssimativa. Le conseguenze delle nostre azioni dipendono da fattori non sempre governabili direttamente e razionalmente.

Questo approccio deve costituire un fattore chiave della professionalità della dirigenza, anche provinciale, in quanto le ridotte dimensioni del Trentino non significano minor complessità.

Di questa esigenza la dirigenza provinciale è ampiamente consapevole, anche se risultano palesi le difficoltà di tradurre le intenzioni in fatti concreti. Le maggiori resistenze, oltre ad un'impostazione tradizionalmente incentrata sui singoli servizi, è la difficoltà di gestire una Provincia sempre più ricca di competenze e sempre meno dotata di risorse finanziarie. Questo impone scelte, tra un opzione e l'altra, anche difficili, che abbiano la forza di far prevalere quello che è più importante in termini generali, rispetto a ciò che è più importante in termini settoriali. Operazione, questa, non semplice, anche perché i sistemi di interesse che vengono sacrificati hanno canali forti e diretti di contatto con il sistema provinciale, in primo luogo nei confronti della politica ma anche della stessa dirigenza. La capacità di far prevalere il bene collettivo sulle spinte – pur legittime – particolari ha quindi bisogno di due condizioni chiave: la capacità di costruire scale di priorità chiare, rigorose e condivise, e l'adeguato utilizzo di strumenti idonei a trasferirle nella complessa e articolata macchina provinciale.

Sia la dirigenza provinciale che gli stakeholder intervistati hanno ben chiara la necessità di questo passaggio, ma sono altrettanto chiare le resistenze poste da una realtà trentina abituata per anni a bilanci pubblici in continua crescita e quindi ad una logica più incrementale che selettiva. Se non si può più rispondere ai nuovi bisogni utilizzando gli incrementi di bilancio, ma si deve provvedere riducendo altre poste, è chiaro che gli indirizzi strategici non solo devono essere forti e chiari, ma anche ampiamente condivisi e incorporati nel modo di essere e di agire di tutti i soggetti coinvolti, pubblici e privati. Un'operazione che è innanzitutto una responsabilità della politica, ma che deve trovare una coerente corrispondenza da parte della dirigenza. E questo non solo in termini di adesione alla mission, ma anche di bagaglio tecnico e operativo adeguato a far capire perché un interesse è particolare e non generale, o viceversa.

4.2. Insistere sulle competenze e sui comportamenti manageriali

La questione della dirigenza pubblica italiana è emersa con particolare evidenza negli anni Settanta. Dibattiti, confronti, ipotesi hanno portato all'emanazione di una legge “istitutiva” della dirigenza: un corpo non ese­cutivo, con più autonomia e più responsabilità, che fosse simile alla dirigenza delle aziende private. Sono seguiti poi, a partire dagli anni Novanta, successivi provvedimenti per rendere la figura del dirigente della Pubblica Amministrazione del tutto paragonabile a quella del manager dell'azienda privata. Ciò ha comportato un notevole ampliamento di poteri e di responsabilità, controbilanciati dai controlli sui risultati, in relazione agli obiettivi indicati dal vertice politico.

La Provincia autonoma di Trento si è adeguata a questi principi alla fine degli anni Novanta, in una fase dove era già in atto la trasformazione del suo ruolo, da amministrazione prevalentemente incentrata sugli atti ad am­ministrazione orientata ai risultati e alla soddisfazione del cittadino-utente.

Una trasformazione resa ancora più forte ed urgente dall'irrompere dei temi, e dei problemi, provocati dalla globalizzazione dei rapporti da un lato e dalla riduzione delle risorse pubbliche dall'altro.

Nel sostenere questo processo, più simile ad una “metamorfosi”, l'Autonomia trentina non è partita da zero. Ha potuto, infatti, contare su un elemento molto importante: la (elevata) coscienza di sé che hanno i dirigenti e il rispetto e l'importanza che attribuiscono loro gli stakeholder. I numeri del Rapporto sono molto chiari. Sia i dirigenti, sia coloro che li guardano dall'esterno as­segnano a chi è investito di questa funzione un alto ruolo sociale (molto più alto di quanto non sia riconosciuto a livello nazionale).

Quindi le basi per costruire il mutamento ci sono e sono anche solide, poiché il lavoro che alla dirigenza è richiesto è tutt'altro che facile, e sarebbe impossibile perfino da iniziare se essa non godesse, come comprovato dalla realtà, di una certa autostima e di un prestigio sociale riconosciuto. Per questo il tema vero è capire come mettere a frutto e far crescere questa credibilità nel più breve tempo possibile.

Una gestione più manageriale, attenta alla programmazione e alla valutazione dei risultati, è la migliore soluzione possibile. Ma essa non deve essere calata dall'alto. Nel Rapporto, l'esigenza di una mutazione in tal senso emerge nettamente dalle risposte dei dirigenti (e anche degli stakeholder). E affidare alla dirigenza il compito di guidare questa trasformazione significa anche che i dirigenti, grazie alla loro cultura, a una certa idea del mondo, a uno sguardo proprio sulla contemporaneità sono “chiamati a capire” il prodotto che devono congegnare. Devono studiare il modo in cui il loro lavoro va progettato e realizzato, su nuove basi. Ed è qui, in questa dimensione d'incertezza, che si apre lo spazio della creatività ed entrano in gioco la leadership e il suo carisma, la capacità di trainare l'organizzazione verso il cambiamento.

La leva da utilizzare, pertanto, è un mix di azioni che hanno a che fare con l'interpretazione del ruolo del dirigente pubblico, la sua qualificazione continua nel tempo e l'assunzione di una sua responsabilità quotidianamente vissuta nei confronti del territorio.

La formazione, naturalmente, è una leva molto importante che può realizzarsi in tantissimi modi: in aula, attraverso le esperienze maturate in ambiti diversi e all'esterno dell'amministrazione; attraverso l'aggiornamento a distanza, ed infine con l'autoformazione. Un dirigente pubblico che vuole restare in sintonia rispetto alle trasformazioni in corso ha bisogno di un'alimentazione costante, in parte progettata dall'amministrazione, in parte autogestita, nella consapevolezza che il suo ruolo richiede un investimento continuo anche sul piano del tempo personale.

4.3. Rafforzare i processi di programmazione, misurazione e accountability

L'amministrazione trentina ha bisogno di rendersi più efficiente, anche per effetto della minore dotazione di risorse disponibili. Anche su questo – è giusto farlo notare – c'è un consenso tra i dirigenti che induce all'ottimismo. La stragrande maggioranza degli intervistati (il 90,9%) pensa che ci sia bi­sogno di applicare il principio less is more, ovvero riconosce la necessità di offrire un servizio superiore rispetto al passato, ma ritiene che sia necessario farlo usando meno risorse di un tempo, migliorando efficienza e controllo delle prestazioni fornite.

Diventa sempre più importante acquisire una cultura della programma­zione e della misurazione dei risultati, perché l'assunzione di responsabilità da parte dei dirigenti pubblici significa innanzitutto creare qualcosa di utile per la collettività. Per ottenere tale risultato diventano sempre più rilevanti i meccanismi di pianificazione, programmazione e controllo tipici di un modello manageriale.

Il principale vantaggio di questa impostazione è dato dal fatto che obiettivi specifici e misurabili obbligano la Pubblica amministrazione a passare – come si dice – “dalle parole ai fatti”, rendendo razionale il processo decisionale e fornendo dei criteri logici di valutazione delle scelte effettuate. La loro misura­bilità, in combinazione con una piena trasparenza, consente inoltre ai cittadini di conoscere ex ante in che direzione intende operare l'amministrazione, ed ex post di valutarne l'operato: ogni scelta diventa così un programma preciso con obiettivi, tempi e metri di misura.

Va registrata dalle risposte dei dirigenti intervistati, una maggiore e più diffusa disponibilità ad accettare l'approccio valutativo come punto di forza su cui innestare concretamente i processi di ammodernamento della Pubblica amministrazione.

Il rischio di concepire la valutazione come un'incombenza burocratica da liquidare quasi con fastidio piuttosto che da cogliere come un'opportunità di crescita e sviluppo del management è oggettivamente ancora diffuso. Se la valutazione è vista solo come dovere imposto dalla legge, finisce con il trasformarsi in una mera procedura del tutto indipendente e astratta dalla natura e dalle logiche del comportamento reale, soprattutto dalle finalità complessive dell'agire pubblico. Controllo strategico, controllo di gestione, controllo amministrativo-contabile e valutazione della dirigenza sono infatti strumenti che non solo vanno messi a punto in maniera adeguata, ma che vanno anche resi compatibili e utilizzati in modo coordinato. Di conseguenza la cultura della valutazione deve essere intesa non come un adempimento burocratico ma come uno strumento di gestione da acquisire e interiorizzare. Anche se il grado di consapevolezza di quanto sia importante misurare per gestire abbia fatto qualche passo avanti, la cultura burocratica è ancora prevalente. Ciò anche perché l'utilizzo di tecniche di valutazione cresciute nel “privato” senza adeguati processi di sviluppo e di adattamento al “pubblico” ha dimostrato la sua sostanziale inefficacia. È quindi indispensabile un nuovo grande investimento per mettere a punto metodologie capaci di definire obiettivi e criteri coerenti con l'esigenza di valutare situazioni non quantificabili con gli strumenti tradizionali, soprattutto attività di indirizzo, programmazione, normazione, controllo, prevenzione, ecc. Altro rischio da evitare è quello di isolare la valutazione della dirigenza dagli altri strumenti di controllo interno.

Strettamente connesso con la valutazione è un altro tema di crescente rilevanza: quello dell'accountability, cioè la pratica di rendere conto ai propri stakeholder interni ed esterni – in modo esaustivo e ben comprensibile – dei metodi con cui i fini istituzionali vengono perseguiti e quali sono i risultati raggiunti. Il rischio da evitare è che l'accountability sia più orientata a “dar conto al superiore”, alla gerarchia amministrativa, e meno attenta agli utiliz­zatori reali di prestazioni e servizi. Le logiche e gli strumenti da utilizzare sono diversi ma l'attenzione al “render conto” interno e al “render conto” esterno, vanno di pari passo, ed hanno lo stesso valore in termini di capacità di documentare, in un'ottica migliorativa, le performance dell'amministrazione.

4.4. Puntare sul fattore relazione nella gestione delle risorse umane

La gestione delle risorse umane è da sempre uno dei compiti più delicati e critici affidati alla dirigenza e gli esiti del Rapporto lo confermano in molte sue parti. Vi sono tuttavia alcune particolarità che meritano di essere segna­late o perché importanti ai fini del miglioramento in termini di benessere e di performance, o perché critiche, in quanto rendono difficoltosa la gestione.

Nel primo caso emerge con particolare evidenza la necessità di “far corpo” collettivo, di identificarsi nella mission dell'istituzione, di fare gioco di squadra. E questo vale sia per il personale provinciale in genere, sia per lo stesso “corpo” dei dirigenti.

Il sistema organizzativo di una Pubblica Amministrazione non è un semplice insieme di individui, ma un sistema molto più complesso, caratterizzato da culture, modi d'essere, motivazioni e interessi estremamente vari e differenziati. La “qualità” di un'organizzazione non dipende solo dalla “qualità” dei singoli individui, ma anche dalla “qualità” del gioco collettivo che essi creano. È la squadra che determina climi e performance.

Quindi un'organizzazione non cambia quando tutti i soggetti che la compongono cambiano, ma quando essi sono capaci di strutturare le proprie relazioni in un assetto diverso rispetto a quello in cui operavano in precedenza. Qui risiede tutta la complessità e la dimensione, per così dire paradossale, del cambiamento organizzativo ad ogni livello. Da un lato dobbiamo riconoscere che i rapporti umani, con il loro fondamentale carico di valenze cognitive e di interessi rappresentati, strutturatisi nel tempo all'interno e all'esterno delle organizzazioni, possono costituire il principale ostacolo al cambiamento. Dall'altro, però, dobbiamo anche essere consapevoli che quegli stessi rapporti rappresentano la principale risorsa di cui l'organizzazione pubblica, intesa come sistema, dispone.

In altri termini, e di questo la dirigenza provinciale è assolutamente consapevole, sono proprio le relazioni a costituire quel patrimonio di capacità collettive senza il quale nessun cambiamento sarà mai possibile.

Per quel che riguarda le criticità, i maggiori problemi emersi nel Rapporto riguardano da un lato il reclutamento del personale e dall'altro la gestione della mobilità. Nel primo caso, si riscontra l'esigenza di un meccanismo di selezione che tenga conto non solo delle conoscenze giuridiche e tecniche, pur importanti, ma anche di quelle motivazionali e delle capacità relazionali. Quindi un problema di come si entri in una pubblica amministrazione e a quali condizioni si sviluppano le carriere.

Nel secondo caso, si sottolinea come il problema non venga riscontrato solo “in entrata” ma anche “in uscita”. In un sistema pubblico tendenzialmente in calo, come dimensione del personale, non si può agire solo per somma: c'è bisogno di coprire una competenza specifica, quindi si recluta o si valorizza nuovo personale. È necessario “liberare” spazi e quindi gestire il surplus che si crea: tema estremamente delicato e difficile da risolvere per le implicazioni sociali e sindacali che comporta.

La capacità dell'Autonomia di accompagnare lo sviluppo implica quindi la capacità di affrontare il tema di una sempre più adeguata gestione delle risorse umane. Senza questa interazione di vari elementi e piani, la sfida che la dirigenza provinciale è chiamata ad affrontare si fa più difficile.

4.5. Perseguire la semplificazione agendo sulle norme, sulla mentalità e sulla deontologia

Uno dei temi su cui le opinioni dei dirigenti provinciali e quelle degli stakeholder è più vicina, riguarda la necessità di rendere meno complesso l'agire amministrativo e snellire il reticolo di norme e procedure che rallentano, e a volte ostacolano, il pieno raggiungimento dei fini che la stessa Amministrazione intende proseguire. La maggior parte dei dirigenti è ben consapevole di questo tema e infatti pensa sia necessario semplificare l'attività svolta per renderla più accessibile. E appunto per questo ritiene che debba essere l'amministrazione a farsi carico della parte più complessa e farraginosa della macchina amministrativa, senza delegare alcune procedure agli utenti, poiché essi hanno bisogno di modalità di accesso semplici, efficienti e flessibili. C'è da osservare che la semplificazione ha bisogno di un doppio registro su cui operare con efficacia ed efficienza. Il primo è quello delle norme e delle regole in senso stretto e in tal caso il ragionamento è semplice come obiettivo, anche se impegnativo come realizzazione: norme e regole vanno snellite e semplificate senza se e senza ma.

Il secondo riguarda le modalità di applicazione di queste regole e di queste procedure, che talvolta sono appesantite dalla mentalità di un corpo amministrativo che risente ancora della tradizionale impostazione burocratica. Soprattutto su questa seconda il dirigente pubblico può esercitare un ruolo fondamentale, insistendo sulla necessità che il cittadino sia visto non come un semplice beneficiario di prestazioni e di servizi, bensì come il soggetto centrale che dà senso al ruolo stesso della Pubblica amministrazione.

La larga maggioranza delle risposte ai quesiti proposti riconosce la necessità di far coincidere il “tempo pubblico”, solitamente più dilatato e lento, con il “tempo privato”, la maggior parte delle volte ridotto e bisognoso di velocità. In particolare gli stakeholder sottolineano con forza la tendenza dell'amministrazione a dimenticare che i tempi lunghi non sono coerenti con le esigenze di chi opera a livello privato, sia che si tratti di cittadini singoli sia di aziende o di altre organizzazioni.

All'amministrazione serve perciò semplificare le procedure, ma anche i comportamenti, affinché si attui una significativa e veloce convergenza tra le due concezioni del tempo.

La semplificazione, risponde all'esigenza di maggiore velocità e leggerezza in un mondo troppo complesso e mutevole per essere imbrigliato in una legislazione di dettaglio che tenti, inutilmente, di prefigurare e normare tutte le situazioni, le possibilità, le varianti, le eccezioni che possono verificarsi nella vita reale di cittadini e imprese. Servono, di conseguenza, leggi più orientate ai fini da perseguire e alle modalità operative e di verifica da adottare, piuttosto che un dettaglio di fattispecie che risulterebbe inevitabilmente incompleto e non in grado di reggere nel tempo.

Il passaggio da un'Amministrazione incentrata esclusivamente sulla norma ad una Amministrazione che sappia tenere in debito conto anche il “valore” dei risultati da raggiungere, ha bisogno di una mentalità e di una dotazione professionale di tipo manageriale. Un ragionamento che vale in generale, ma ancor più per la dirigenza pubblica chiamata non solo ad applicare ri­gorosamente le norme, auspicabilmente semplificate, ma anche a garantire il raggiungimento dei risultati attesi, adeguatamente misurati. Un obiettivo raggiungibile solo se possiamo contare su competenze manageriali adeguate. Dove la norma orienta ma non dettaglia, si apre lo spazio della discrezionalità, soprattutto di quella dei dirigenti. Se l'insieme di esigenze indicate non può essere garantito insistendo su un maggior dettaglio delle norme, anzi la dire­zione è quella inversa, assume una fondamentale importanza la deontologia professionale. È questa infatti ad entrare in gioco dove l'azione della norma non “arriva”, o comunque si dimostra incapace di garantire risposte adeguate.

Ed è qui che il valore della deontologia professionale e la consapevolezza di essere dei civil servant diviene centrale, fondante lo stesso ruolo del dirigente.

In questo senso l'Autonomia trentina ha basi indubbiamente solide ed è per questo che risulta possibile, e credibile, quello scatto di orgoglio necessario per transitare da un mondo che non c'è più ad un mondo tutto da costruire. Un mondo che va affrontato con un bagaglio complesso di motivazioni, ca­pacità professionali e riferimenti deontologici in grado di combinare – e non di contrapporre – globale e locale, incertezza di scenari e chiarezza di fini e obiettivi, risorse limitate e adeguatezza di risposte, discrezionalità nelle scelte, dove le norme “non arrivano”, e rigorosa equità nelle risposte pubbliche.

 

5. Interpretazione delle dinamiche reali e promozione di una responsa­bilità diffusa per trasformare la dirigenza pubblica

Abbiamo condotto con il presente Rapporto una specie di autoanalisi da parte dei dirigenti pubblici rispetto alle mutate condizioni esterne – certo non solo locali – e alle conseguenti necessarie mutazioni interne che più direttamente li riguardano.

Si è trattato di un esercizio di responsabilità verso lo stesso territorio e verso se stessi, tenendo conto che interpretare un nuovo ciclo di sviluppo costituisce oggi un'operazione particolarmente difficile, che richiede l'apporto di tutti i soggetti in gioco, senza facili populismi e senza superficiali semplificazioni.

Riformare la Pubblica Amministrazione è un'esigenza che tutto il Paese avverte, ma che non può ridursi al tema del livellamento degli stipendi e delle (presunte) battaglie campali contro la burocrazia. Così come è altrettanto ne­cessario ritrovare un equilibrio tra Stato e Autonomie, che però non si risolve con forme di ritorno “pendolare” ad un neo-centralismo dichiarato o implicito.

Al contrario, c'è bisogno di guardare al Paese «reale» e perciò anche alla burocrazia «reale» e alle Autonomie «reali», con tutte le differenze, le esperienze maturate e le responsabilità di cui esse risultano titolari.

In Trentino si avverte, come ovunque, l'onda del cambiamento che ha investito la nostra convivenza. In questo contesto vorremmo poter capitalizzare il patrimonio rappresentato dalla nostra Autonomia e dalla nostra Pubblica Amministrazione in funzione di una fase nuova di nuovo sviluppo del territorio: con un atteggiamento di equilibrio, ma anche di voglia di cambiare, forti di una consapevolezza. Che di patrimonio comune si tratta, come è emerso anche dal Rapporto e che è presente nell'opinione non solo della dirigenza pubblica ma anche degli stakeholder.

Dobbiamo affrontare insieme la strada di una maggiore responsabilità diffusa, in alto come in basso, affinché establishment pubblico e Autonomia possano costituire ancora due risorse strategiche per il nostro futuro.

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