News/Approfondimenti > 03 aprile 2009

Più dinamismo, più creatività per l'impresa dell'arte in Italia

Intervista a Pier Luigi Sacco

(da Artkey n°9)Formazione e informazione sull'economia della cultura. Marcella Grandi, di Unicredit & Art, intervista Pier Luigi Sacco, ordinario di Economia della cultura e pro rettore alla comunicazione e all'editoria dell'Università IUAV di Venezia.

La attività di ricerca, formazione accademica e di divulgazione scientifica di Pierluigi Sacco è rivolta ai principali concetti cardine dell’economia post-industriale. L’investimento nelle forme di capitale immateriale, i modelli di sviluppo e valorizzazione del territorio, l’economia delle arti visive contemporanee, la responsabilità sociale d’impresa e i modelli di sviluppo sociale e culturale sono le direzioni di indagine per la realizzazione di politiche economiche sulle quali ha sviluppato un costante confronto con ricercatori così come con amministratori, soggetti imprenditoriali e rappresentanti della società civile, a livello nazionale e internazionale.É direttore scientifico di Good-will ed è membro della direzione scientifica del Festival dell’Arte Contemporanea.Tra le principali pubblicazioni: “Il fundraising per la cultura”, “L’arte contemporanea italiana nel mondo”, “Impresa e arti visive. Dalla sponsorizzazione alla progettualità”, “Cultura e creazione del valore”, “Cultura e competitività. Per un nuovo agire imprenditoriale”. É in corso di pubblicazione “Il distretto culturale evoluto” con la casa editrice Il Mulino.

Marcella Grandi: Quale testo/i considera una “bibbia” dell’economia della cultura, un contributo che è necessario conoscere per muoversi in questo campo?
Pier Luigi Sacco
: L’economia della cultura è una disciplina che si trova ancora nella sua infanzia dal punto di vista scientifico, e non esistono ancora testi che possano essere considerati indubitabilmente punti di riferimento imprescindibili. Il manuale più autorevole è forse quello di Bruno S. Frey, “Arts & Economics”, pubblicato da Springer. C’è poi un testo molto conciso e abbastanza efficace, quello della Françoise Benhamou, dal titolo “L’economia della cultura”, pubblicato in Italia dal Mulino. Importante anche il libro di David Throsby, “Economia e cultura”, pubblicato anch’esso in Italia da Il Mulino. Tra i manuali italiani, un testo valido e tecnicamente articolato è quello di Guido Candela e Antonello Eugenio Scorcu , “Economia delle arti”, pubblicato da Zanichelli. Nel settore in rapida crescita delle strategie e delle politiche culturali per lo sviluppo urbano va poi segnalato il fondamentale libro di Charles Landry, “The creative city”, pubblicato da Earthscan, un testo più profondo e problematico di quello di Richard Florida, “L’ascesa della nuova classe creativa”, pubblicato da Mondadori, che pure ha incontrato un successo mondiale stupefacente. Sul versante delle industrie culturali si segnala il testo di Richard E. Caves, “L’industria della creatività”, pubblicato in Italia da Etas. Può poi essere utile consultare con regolarità le annate del “Journal of Cultural Economics”, la rivista scientifica di riferimento a livello internazionale, ma anche l’italiana “Economia della Cultura”, pubblicata anch’essa dal Mulino, presenta molti contenuti interessanti. Credo comunque che, visto l’interesse che la disciplina sta attraendo, ci si possa aspettare nei prossimi anni una produzione scientifica molto significativa che andrà a integrare sostanzialmente questi primi riferimenti.

M.G.: Come reputa l’offerta didattica italiana in questo senso? Dove, in Italia e all’estero, si può ottenere la miglior preparazione?
P.L.S.
: L’offerta didattica italiana per molto tempo è stata abbastanza deficitaria. Oggi però si riscontra un interesse crescente. Corsi come il percorso 3+2 dell’Università Bocconi offrono senz’altro un riferimento valido, così come la laurea specialistica dell’Università di Bologna, il GIOCA. Vi è poi un numero crescente di Master, che spesso però durano soltanto qualche anno e faticano a conquistarsi una reputazione. Tra quelli di più lunga tradizione si segnala il MAC, promosso a Trento dalla Trentino School of Management. Va segnalato anche il Master della LUISS in economia del turismo e dei beni culturali. Va detto che comunque frequentando i convegni internazionali sul tema c’è motivo di ottimismo: il numero di giovani studiosi italiani aumenta di continuo, segno di un buon funzionamento del nostro sistema formativo sul tema.

M.G.: Per amministrare l’Arte è necessario conoscerne la storia e avere quindi competenze scientifiche in campo artistico, oltre che economico? In tal senso che tipo di approccio dovrebbero avere manager ed economisti della cultura?
P.L.S.
: Le competenze in campo storico-artistico sono anche più importanti, in prima approssimazione, di quelle in campo economico-gestionale. Tendenzialmente, secondo me è preferibile un buono storico che si perfeziona sui temi economico-gestionali piuttosto che il contrario. A livello di ricerca, servono naturalmente gli uni e gli altri, meglio se capaci di lavorare in un ambito realmente interdisciplinare. Devo dire con soddisfazione che accade sempre più spesso.Per chi si forma a partire da un percorso economico-gestionale diventa fondamentale una frequentazione diretta, intensa e prolungata del campo culturale o creativo nel quale si intende operare: senza questa conoscenza diretta e di prima mano si rischia di finire per applicare formule astratte senza esserne in grado di valutare il senso e la congruità nelle situazioni concrete. Non ci si può occupare di economia delle arti performative senza essere assidui frequentatori dei teatri, o di economia dell’arte senza conoscere in profondità il mondo dell’arte e i suoi protagonisti.

M.G.: Come reputa l’offerta di informazioni sul tema “economia della cultura” (siti web, riviste di settore, pubblicazioni..)? La ritiene adeguata o ritiene che ci siano alcuni gap non ancora colmati?
P.L.S.
: Se usata bene, la rete è uno strumento straordinario che permette ormai di accedere direttamente alla maggior parte delle fonti, e nel peggiore dei casi di individuare con precisione le fonti che occorre andare a cercare in biblioteca o nelle istituzioni culturali. Se c’è un gap ancora da colmare, è quello di un portale tematico che smisti la ricerca verso tutte le fonti principali e fornisca ai giovani una panoramica bibliografica e documentale di riferimento. Ma sono sicuro che prima o poi qualcuno lo costruirà.

M.G.: Parlando di mercato del lavoro, quale spazio può esserci all’interno delle istituzioni culturali per un economista della cultura? Il mercato è pronto a recepire questa figura? C’è fiducia o scetticismo da parte degli operatori del mondo dell’arte?
P.L.S.
: Lo spazio per gli economisti della cultura veri e propri va cercato nel contesto universitario e nelle grandi istituzioni che si occupano di politiche culturali. Per gli economisti culturali applicati e per gli esperti di management culturale gli spazi sono maggiori e a mio parere si amplieranno nel tempo, e si troveranno tanto nelle istituzioni culturali che nelle grandi e medie imprese interessate alle attività culturali come strumento innovativo, che nell’associazionismo culturale. Ma per essere pronti a cogliere queste occasioni non basta studiare, occorre come si è detto confrontarsi continuamente con le realtà concrete, frequentandole e magari anche impegnandosi direttamente. Occorre, come si dice, ‘farsi le ossa’, anche in realtà piccole purché dinamiche e stimolanti. L’economia della cultura non è una professione da svolgere in orario di ufficio per poi staccare e pensare ad altro, è un campo di esperienza nel quale si è immersi, di fatto, tutto il giorno, tutti i giorni. Solo facendo così si possono ottenere risultati e soddisfazioni reali e durature.


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