News/Approfondimenti > 14 novembre 2009

Tesoro Dolomiti

Paesaggio e vivibilità nel patrimonio dell’Unesco Le relazioni necessarie fra politica e ambiente

di Alessandro de Bertolini

Il 1789. Una di quelle date che non si dimenticano. Un po’ perché tre delle sue cifre disegnano una scala e un po’ perché, se a scuola, davanti al professore scivoli su quella, ti dicono che sei un asino. Non ci si può sbagliare sulla rivoluzione francese e sulla Bastiglia.

Ma non è soltanto questo. Non è tutto qui. Non è che proprio tutti, in quell’anno lì, pensassero solo alla Bastiglia. E nemmeno tutti i francesi, in quell’anno, pensavano alla Bastiglia. Certo questa è l’impressione che abbiamo spesso avuto noi, che siamo stati abituati a guardare alla storia come si fa con un grande album di fotografie. Ma le storie sono tante. Dicevamo dei francesi. Uno di loro, guarda caso nel 1789, era in viaggio in lungo e in largo per le Alpi.

Cercava sassi. Pietre, minerali, detto meno grossolanamente. Aveva 39 anni. E quella passione non l’avrebbe persa mai visto che, sempre sulle Alpi, sarebbe morto di sfinimento nel suo ultimo viaggio nel 1801. Comunque nel 1789, di quei sassi, ne trovò uno tanto strano. Una roccia calcarea che presentava reazioni chimiche diverse dal calcare. Si trovava in Tirolo, quando ci pose gli occhi sopra per la prima volta. E la descrisse pressappoco come un carbonato doppio di calcio e di magnesio. Quello stesso carbonato che, nel 1796, sette anni dopo, viene battezzato con il suo nome in piena età napoleonica mentre il generale Bonaparte è impegnato nella conquista delle Alpi. Lui era Déodat de Dolomieu. E il carbonato doppio prese il nome di dolomia per iniziativa dello studioso e avventuriero, francese pure lui, Nicolas de Saussure. Ci vorrà tempo perché si affermi il neologismo Dolomiti.

Accade solo nella seconda metà dell’800 quando viene pubblicato a Londra, nel 1864, il libro di Gilbert e Churchill The Dolomite Mountains. Excursion through Tyrol, Carinthia, Carniola and Friuli in 1861, 1862, & 1863.

Bella soddisfazione dare il nome a un minerale. Soddisfazione più grande ancora se quel nome viene adottato per tutta una catena di montagne e se quella catena, oggi, viene dichiarata patrimonio dell’Unesco. Noi, in Trentino, siamo tra le cinque province (con Bolzano, Udine, Belluno e Pordenone) che si spartiscono questo territorio. Questa eredità. Nove gruppi dolomitici per una estensione complessiva di 142.000 ettari, quattro lingue differenti (italiano, tedesco, ladino e friulano) e un humus di cultura e tradizioni che, a proposito di patrimonio, è un patrimonio di saperi.

Eredità che non è solo ambientale ma che è anche culturale. Onore e onere. Ma come fare per essere all’altezza? Scelte appropriate a opera degli amministratori da un lato. Educazione e formazione dall’altra. Politica e cultura, insomma, che si stringono la mano per giungere a un comune risultato: rispettare e vivere le Dolomiti, che è un po’ come parlare di valorizzazione e di vivibilità. Esattamente quello che si sta facendo in Trentino. Vediamo come.

Aprono oggi a Trento, nella sala Depero del palazzo della Provincia, i lavori del convegno Dolomiti. Paesaggio e vivibilità in un bene Unesco . Due le sessioni in programma, una decina gli studiosi coinvolti, i giornalisti Franco De Battaglia e Gianpaolo Carbonetto a moderare i dibattiti e il presidente della Provincia Lorenzo Dellai con l’assessore Mauro Gilmozzi per il saluto di inizio e per le conclusioni. L’intervento introduttivo è di Ugo Morelli, presidente del comitato scientifico della Scuola per il governo del territorio e del paesaggio (Step), che con il sostegno dalla Provincia ha promosso il convegno. «È in atto — spiega Morelli — una profonda rivisitazione di tutta la materia che va dal paesaggio all’urbanista al territorio, secondo un tentativo di ridisegnare il rapporto uomo-ambiente».

L’approvazione dell’ultimo Piano urbanistico provinciale ha cercato, di fatto, di attivare la responsabilità degli enti locali in tema di gestione del territorio. Per questo, l’attuale giunta ha creato lo strumento delle comunità di valle. Strumento che si propone di responsabilizzare le singole comunità nella gestione del territorio facendole diventare esse stesse luogo di elaborazione e di confronto dell’analisi politica. «Approvazione del Pup e accreditamento delle Dolomiti a patrimonio dell’Unesco — continua Morelli — impongono un cambiamento ». Ed è qui che diviene centrale il ruolo della Step. «Con queste scelte la Provincia — prosegue — ha deciso di mettere al centro della propria strategia di governo il paesaggio, inteso non come elemento esteriore o estetizzante, ma come cardine e cifra dell’intero modello di sviluppo socioeconomico. Ciò, tuttavia, necessita anche di un cambiamento mentale e di un processo di formazione e di educazione».

Non solo, quindi, un salto della politica nella normazione ma un salto di sapere e di saperi nella cultura. «Accorgersi di questo — ne è convinto Morelli — significa arrivare prima degli altri. E anche se il processo non sarà facile, per ciò è stata creata una scuola per il governo del territorio e del paesaggio dove non ci si occupa tanto di qualificare il paesaggio per poterlo meglio vendere ma di qualificarlo per renderlo più vivibile».

Se l’amministrazione, possiamo dire, fa una scelta di un certo tipo, quella scelta deve essere coperta da tutto un corollario di maestranze tecniche e sapienziali. La politica ha fatto le scelte giuste. E la scuola di Morelli, pensata di concerto con la Provincia, penserà alla formazione di un portato di cultura che tali scelte possa sostenere e concretamente garantire. «Dalla visione del Pup — precisa sul punto l’assessore Mauro Gilmozzi — nasce questa idea di un passato e di un futuro condiviso che le Dolomiti ben rappresentano. Esse non sono solo nuda roccia, ma esprimono una storia e una cultura di genti di montagna. È intorno a questo tema che occorre ragionare.

Consideriamo il paesaggio, da un lato, occupandoci di esso non come di una bella cartolina ma come un modo di essere della nostra tradizione e insieme un modo per guardare avanti. Consideriamo il capitale sociale, dall’altra, predisponendo gli strumenti delle comunità di valle per attivare le responsabilità degli enti locali».

Déodat de Dolomieu, tutto questo, non lo poteva sapere. E non lo saprà. È morto da duecento anni. Chissà cosa pensò dinnanzi a quella reazione chimica bizzarra e che cosa penserebbe oggi, lui che era un geologo del Delfinato, di questo gran da farsi di politica e cultura. Di questo saper guardare avanti con capacità politiche e intellettuali che pensano alla montagna. E a chi la abita.
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