News/Approfondimenti > 20 giugno 2011

Morelli, dalla mente al paesaggio

Lo scienziato irpino Morelli si interroga sulle condizioni di una nuova vivibilità del pianeta

A cinque anni dalla pubblicazione di “Conflitto. Identità, interessi, culture”, edito nel 2006 da Meltemi, ritorna in libreria Ugo Morelli con un altro testo di grande rilevanza, “Mente e paesaggio. Una teoria della vivibilità”, stavolta per la prestigiosa casa editrice Bollati Boringhieri. Ma l’intervallo di un lustro, rispetto alla fortunata opera che si occupava degli aspetti più caratterizzanti delle relazioni umane nell’attualità contemporanea, non deve trarre in inganno.

Perché lo scienziato irpino (originario di Grottaminarda), docente di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni all’Università di Bergamo e presidente del Comitato scientifico della Scuola per il governo del territorio e del paesaggio presso la Trentino School of Management di Trento, nel frattempo, ha continuato la sua instancabile attività di saggista, dando alle stampe, nel 2009, “Incertezza e organizzazione. Scienze cognitive e crisi della retorica manageriale” e, nel 2010, “Mente e bellezza. Arte, creatività e innovazione”. Opere che aggiunte a “Passione e apprendimento” del 1996 (con Carla Weber), a “La passione e la maschera” del 2000, a“Affetti e cognizione.

Nell’apprendimento e nella formazione” (di nuovo con Carla Weber) del 2005, fanno di Morelli un ricercatore di notevole spessore, impegnato da sempre nell’indagine riguardante i comportamenti umani, nei loro tratti fondamentali, alla luce dei contributi più aggiornati e complessi delle scienze cognitive e delle neuroscienze, finendo per interessarsi al senso e al significato degli aspetti caratterizzanti dell’esistenza tra “mente e paesaggio”, come appunto recita il titolo della sua ultima fatica, maturata all’interno dell’attività di ricerca svolta dalla Scuola per il governo del territorio e del paesaggio (STEP) che la Provincia autonoma di Trento ha recentemente costituito all’interno della Trentino School of Management (TSM).
 
I riferimenti bibliografici
La pregnanza di questo volume, che spazia tra l’analisi approfondita alla proposta di “una teoria della vivibilità” sostenibile, già la si coglie dall’intensa bibliografia che fa da corredo del testo. Qui si può intravedere come l’autore, per elaborare la sua riflessione, sia partito dai riferimenti più alti dell’odierna ricerca delle scienze umane o sociali che dir si voglia, con i filosofi, storici, psicologi, sociologi, antropologi, scienziati e letterati più illuminati del panorama mondiale, citati per supportare ed esplicitare le sue teorizzazioni. Attingendo, tra passato e presente, al meglio della produzione intellettuale sul futuro dell’uomo e del pianeta, da Agamben a Amis; da Appadurai a Hannah Arendt; da Badiou, Baj e Virilio a Bateson e Bion; da Bodei a Boudon; da Bouthoul a Bruner; senza dimenticare Italo Calvino e Castoriadis; Cavell e Davidson; Daniele Del Giudice e Ernesto De Martino; Friedrich Durrenmatt e Eliot; Ferraris e von Foerster; Michel Foucault e Sigmund Freud; Geertz e Carlo Ginzburg; Heisenberg, Jonas e Latouche; Lewin, Maturana e Varela; Morin e Negri; Pagliarani e Pievani; Poincaré e Rainer Maria Rilke; Rizzolati, Sinigaglia, Steiner, Schiavone e Searles; solo per ricordarne alcuni. Tutti assemblati fra loro, non alla rinfusa o giusto per rimpinguare il profilo bibliografico del saggio, ma secondo una logica e un percorso esplorativo che fa della coerenza uno dei suoi più significativi tratti distintivi.
Lo scienziato irpino prende le mosse nel suo cammino, indirizzato a rintracciare il collegamento più profondo tra mente e paesaggio, dalla descrizione del senso da conferire oggi a quest’ultimo termine, nel primo dei sei capitoli che compongono il volume, intitolato “Paesaggio, vivibilità e apprendimento del futuro”, per poi passare a “Oikos ed emergenza dell’estetica del paesaggio”, a “L’Homo sapiens di fronte alla prima opportunità”, fino alle sezioni più propositive in cui viene dispiegata l’idea di vivibilità secondo Morelli, intitolate “Ri-figurarsi. Ripensare il paesaggio e la vivibilità con l’apprendimento e l’educazione”, “Cambiare idea su paesaggio e vivibilità”, concludendo con “Bellezza e politica. Partecipazione sociale e possibilità del conflitto”. Dentro la metodica costruzione di un edificio teorico di ampio profilo, che va ad investire quasi ogni settore dello scibile umano e dell’esistente, per un’opera di alta ingegneria cognitiva, a suggellare la sua poliedrica e prolifica attività di scrittore, costantemente impegnato anche nella direzione di “Polemos”, rivista elettronica (www.polemos.it), su cui spesso Morelli si è cimentato su alcuni degli argomenti trattati in maniera più sistematica nel suo ultimo lavoro.
 
Il nostro futuro nel paesaggio
Come sottolinea Gianluca Cepollaro nell’introduzione, intitolata “Il paesaggio è il nostro futuro”, snocciolando le argomentazioni intorno a cui ruota il discorso di Morelli, “la rilevanza della conoscenza nella società del simbolico è particolarmente evidente nel campo del rapporto uomo-natura, della vivibilità, del paesaggio e dell’ambiente. Sono questi, infatti, temi che richiedono di affrontare percorsi e conflitti inediti ma necessari a una ri-figurazione del presente e una re-immaginazione del futuro”.

Rispetto a tali urgenze, l’autore “considera il paesaggio come emergente dalle relazioni e dagli sguardi con cui ci accoppiamo strutturalmente con i mondi in cui viviamo, reificandoli e naturalizzandoli”, intraprendendo il suo difficile processo di comprensione che non può non interessare la vivibilità ad esso strettamente connessa, visto che “il paesaggio e il rapporto con gli spazi di vita si apprendono dalla nascita, si incorporano nel flusso dell’esperienza e vengono a far parte della mente incarnata, orientando comportamenti e azioni”.

Il percorso scelto da Morelli è “ricco di sconfinamenti disciplinari”, dentro “una prospettiva teorica aperta”, che si misura costantemente con tematiche centrali quali l’apprendimento e l’innovazione. Il punto di partenza della ricerca che ci viene restituita è costituito dai più recenti contributi delle scienze cognitive e della psicologia sociale e ambientale, per arrivare a definire “il paesaggio come proprietà emergente nella connessione tra mondo interno e mondo esterno”, tra scelte individuali e collettive e natura. Il paesaggio come spazio di vita e contesto di vivibilità che l’uomo si costruisce, “come emanazione responsabile delle azioni di coloro che lo abitano e vivono”.

“Ogni paesaggio è, quindi, prima di tutto un paesaggio mentale e da ciò discende la nostra responsabilità rispetto a come creiamo gli spazi di vita”, è questa la prima conclusione a cui giunge Cepollaro nelle pagine introduttive. Ed oggi che viviamo in un tempo di crisi, Morelli indica la strada da seguire per “generare un nuovo paesaggio mentale attraverso un ri-posizionamento della mente umana e dei processi di apprendimento”. A tal scopo è necessaria una mente relazionale, incorporata, situata in una cultura, su cui agire. Bisogna prendere le mosse, innanzitutto, dal riconoscimento della specie umana come “parte del tutto” e non come “una parte sopra le altre”.

Da “un’educazione sentimentale all’appartenenza naturale”, come si legge ancora nella prefazione. Troppo spesso, infatti, la visione del paesaggio è ridotta ad esternalità, mentre si deve passare a considerarlo come condizione costitutiva della vivibilità. “Dal paesaggio out of there, quindi, al paesaggio che costruiamo e che, nello stesso tempo, vincola la nostra individuazione psichica e collettiva”. Da sempre “fatto ad arte”, in qualche modo “artificiale”, il paesaggio oggi non può che tener conto della vivibilità dell’ecosistema, perché siamo progressivamente caduti in una condizione in cui il più grave pericolo per l’evoluzione naturale è diventato l’uomo stesso.

Dunque è prioritario cambiare il senso della nostra presenza sul pianeta, “per orientarsi e vivere ‘con’ la natura”. Non possiamo più permetterci di sperimentare una posizione aggressiva nei confronti della natura, perché “la posizione distruttiva, ormai, è giunta alla sua soglia, anche se spesso sembriamo non aver acquisito un senso del limite e ci mostriamo incapaci di connettere spazi di vita, paesaggio e forme di economia, in un nuovo orizzonte di vivibilità”.
 
Il ruolo fondamentale dell’educazione
Ecco allora che assurgono ad un ruolo d’importanza vitale sia l’educazione che la formazione, che possono realizzare l’indispensabile cambiamento di visione, se abbandoneranno il predominio attuale della prassi priva di un’adeguata epistemologia. “L’educazione – spiega Morelli – può essere una continua elaborazione di conflitti nelle relazioni in cui siamo alla ricerca di significati.

In particolare l’educazione può concorrere a elaborare conflitti fra i nostri comportamenti effettivi e consolidati e le nostre capacità di apprendimento e innovazione. Il paesaggio che creiamo contiene e si naturalizza mentre lo creiamo”, e “l’educazione può aiutare a essere svegli”, sempre che non si intervenga a invertire la rotta. Nella formazione, chiarisce l’autore, “accade, infatti, che a fronte di un caldeggiato interesse per i processi conoscitivi non corrisponda una prassi altrettanto attenta. Accade che in situazioni formative che affrontano questioni di particolare rilevanza sul piano relazionale ed esperienziale, si assista a derive di tipo prescrittivi, nozionistico e manualistico, oppure a soluzioni da animazione e intrattenimento”.

E, approfondendo ulteriormente la questione, in “Mente e paesaggio” si legge che “tra le cause dei fallimenti delle azioni educative e formative vi è una implicita dominanza di una ‘teoria’ e di una ‘prassi’ dell’apprendimento che partono dal modo in cui si insegna e non da quello in cui si impara, e che scindono la dimensione cognitiva da quella affettiva”. Sicché le azioni potranno risultare efficaci, se si fonderanno su una teoria dell’apprendimento che non separi la due dimensioni.

Un compito di enorme responsabilità che Morelli affida al mondo della scuola dove emerge, in tutta la sua negatività, la separazione fra cognitivo ed emozionale, trascurando l’essenziale approfondimento delle dinamiche attraverso cui si impara, ma concentrandosi esclusivamente sulle metodologie d’insegnamento. Invece è proprio nelle modalità di apprendimento, nel modo in cui si impara che occorre intervenire. Oggi che il paradigma della mente umana che apprende per trasmissione e istruzione appare superato. C’è bisogno di rinnovare l’azione educativa, rendendola capace di connettersi con le teorie e le prassi in uso per interagire con gli apprendimenti spontanei che gli individui acquisiscono nella loro attività quotidiana.

Ci vuole “un’educazione che agisca non come ‘dispositivo’ per ottenere obiettivi programmati, ma come aiuto all’elaborazione delle risorse e dei vincoli che sono alla base della possibilità di cambiamento e innovazione”, che funzioni come luogo di facilitazione delle dinamiche di apprendimento, “un’educazione che accompagna, che crea opportunità, che si costituisce come setting, che deve perciò saper offrire, più che un sistema di contenuti, delle occasioni di apprendimento per poter rileggere il passato e progettare il futuro”, precisa Cepollaro nelle pagine introduttive.
 
Vivibilità tra etica ed estetica
Il paesaggio diviene quindi progetto di vivibilità, in cui l’etica si ricongiunge con l’estetica, l’approccio conservativo si coniuga con quello trasformativo. Ma l’educazione richiede anche di agire nei confronti di comportamenti consolidati, rispetto ai quali l’apprendimento torna ad assumere il suo significato primario di modificazione, innovazione.  

Morelli finisce quindi per promuovere un cambiamento dell’idea di paesaggio e di vivibilità, in una disamina che mette in discussione equilibri consolidati, convinzioni e certezze, con le inevitabili resistenze e difese che si possono incontrare. Tuttavia la stessa politica, nella sua essenza più propria di libertà, partecipazione e democrazia, deve essere ripensata per riconoscere il valore etico ed estetico del paesaggio. È necessaria un’opera di rinnovamento generale.

La “Convenzione europea del paesaggio” ha già fissato il principio che i cittadini possono riappropriarsi delle scelte che riguardano il loro destino, e sembrerebbero aperte possibilità di creare le condizioni di un’inedita vivibilità. C’è però tutto il cammino ancora da fare, dinanzi a fattori che ostacolano la democrazia, tra cui l’incertezza, la paura, l’indifferenza, il senso di colpa, e la prima cosa da fare è abbracciare un’azione responsabile verso noi stessi, verso il tempo e i luoghi in cui viviamo, per “fare quello che va fatto”, come suggeriva il poeta Luigi Pagliarani, perché l’accesso alla bellezza non sia più per pochi.

Viene fuori così il senso rivoluzionario della proposta teorica di Ugo Morelli. Contro la “vetrinizzazione sociale” che ci attanaglia, è tempo di “riconoscere la propria luce e la propria ombra – scrive l’autore nelle pagine conclusive del suo sostanzioso volume -, di distinguere la bellezza dal suo sfondo grigio, di riconoscere l’isola della bellezza nel mare della normalità, per poterla allevare, considerare e ascoltare. Il conflitto intrapsichico che comporta vedere in me l’ombra o l’essenza stessa del mio carnefice, la parte di me complice che stento ad ammettere e che esige di essere riconosciuta e attraversata, richiede un’elaborazione che può essere generativa della bellezza della verità e della pienezza della presenza”. Accogliere il coraggio della bellezza e l’azzardo del conflitto.

Il nostro paesaggio da “luogo del cuore”, verso cui ci si vincola con un’intensità paragonabile a un rapporto d’amore, in una originarietà affettiva che ci segna nel profondo, diviene in conclusione lo scenario, attraversato da emozioni vitali e dalla mente relazionale che le elabora, dentro cui si individuano le condizioni di una nuova vivibilità del pianeta, ridisegnando le responsabilità della specie umana, nella fondamentale coappartenenza di uomo e ambiente.
Comprendere il rapporto tra bellezza e politica ed insieme lo spazio di evoluzione della democrazia, è l’arduo compito a cui è chiamato l’uomo contemporaneo. Perché, conclude Morelli, “è forse da quell’alveo che può emergere la ragione poetica che può condurci alla ri-figurazione del nostro posto nel mondi, della nostra posizione nei luoghi e del nostro riconoscimento del paesaggio come spazio di vita”. Uno dei precetti ineludibili dei nostri tempi.


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