News/Approfondimenti > 27 ottobre 2011

I tagli alla cultura provocano il degrado

Politica e paesaggio Settis a Trento

«Con riforme a costo zero si fa meno di zero».

E’ netto Salvatore Settis, archeologo e storico dell'arte, nel denunciare i tagli operati dal governo Berlusconi alla cultura. Tagli che si riflettono anche sul paesaggio e sul suo degrado di cui l'ultimo crollo a Pompei è solo un pallido esempio. «Basti pensare che a Pompei lavora un solo archeologo, mentre ne servirebbero 30» afferma. Settis sarà a Trento domani per tenere una lectio dal titolo L'Italia è ancora bella? Il Bel Paese: il paesaggio tra estetica e politica, promossa dalla Fondazione trentina De Gasperi e da Step — Scuola per il governo del territorio e del paesaggio.

«La riconquista del classico è uno stimolo a comprendere il diverso». Scriveva così, Salvatore Settis, archeologo, storico dell'arte, direttore fino al 2oio della scuola Normale di Pisa, in Futuro del ''classico'', (Einaudi 2004). E questo concetto di classico, per nulla ripiegato su quello di antico, è un paradigma che si può applicare alle opere d'arte, ai concetti e ai pensieri. E al paesaggio. Una sorta di bussola, che consente a Settis di denunciare lo spreco di suolo pubblico in Italia a scapito del paesaggio e di riconoscere le cause del male «nelle scelte politiche» e «nella contrazione di risorse. Con le riforme a costo zero —afferma il professore — si ottiene meno di zero. Questo governo ha tagliato fondi a cultura e ricerca, commettendo un errore grave per il futuro».

Domani Settis sarà a Trento (17.30, Fondazione Kessler, via S. Croce) dove terrà la conferenza pubblica L'Italia è ancora bella? Il Bel Paese: il paesaggio tra estetica e politica, promossa dalla Fondazione trentina Alcide De Gasperi e da Step-Scuola per il governo del territorio e del paesaggio. Professore Settis, la sua più recente «battaglia» riguarda i tagli al mondo della cultura e dell'università operati dal governo Berlusconi nel 2008. Siamo nel ton e la situazione non è migliorata.

«La situazione dei tagli a tutto ciò che è cultura, dal teatro alla scuola, dall'università alla ricerca è un elemento peculiare esclusivamente italiano. Governi di centrodestra europei, sulla carta dunque simili al nostro, dalla Germania alla Francia, non hanno proceduto così. Sarkozy ha affermato, per fare un esempio, che le risorse alla cultura rappresentano un santuario inviolabile. Questo perché pensano che gli investimenti in cultura rappresentino un modo concreto per uscire dalla crisi.

Non in Italia Si tratta purtroppo di un errore drammatico, che mi auguro il prossimo governo, di qualunque colorazione politica sia, non commetta più». In questo contesto si inserisce anche la riforma universitaria, che vede docenti italiani impegnati a riscrivere i propri statuti per adeguarsi alla riforma Gelmini. Come giudica questa legge? «Mi pare che ci sia una sorta di accanimento terapeutico: si spende una quantità enorme di energie per cucinare dei piatti che non si sa su quali tavoli arriveranno.

Si tratta di un'ipotesi sbagliata in partenza, perché con le riforme a costo zero si fa meno di zero. Numerosi docenti sono stati e sono impegnati a scrivere gli statuti e i cambiamenti voluti dalla riforma, sottraendo tempo ed energie a ricerca e didattica. Senza fondi freschi su cui investire si può fare davvero poco. E i tagli 'lineari’ di Tremonti non sono altro che tagli alla cieca, si tagliano risorse alla università virtuose come a quelle che hanno i conti in rosso». Un riflesso concreto dalla stretta ai cordoni della borsa per enti e attività culturali sembra emergere dai continui crolli che interessano Pompei, l'ultimo di pochi giorni fa.

«Ogni volta che c'è un crollo a Pompei l'opinione pubblica si stupisce. Personalmente mi stupisco del fatto che non sia già crollato tutto. A Pompei lavora un solo archeologo. Mentre ci sarebbe bisogno di almeno 3o professionisti. Ma non ci sono più assunzioni e il personale che va in pensione non viene reintegrato. Tanti altri siti sono in analoghe condizioni. Anche il caso della domus aurea è emblematico: è una vergogna che a Roma sia in corso una mostra su Nerone di grande valore e non si possa visitare la domus di Nerone». Lei è stato presidente della commissione voluta da Francesco Rutelli perla riforma del codice Urbani a tutela del paesaggio nel 2008 e si occupa da sempre di paesaggio.

Crede che i tagli alla cultura possano influire negativamente anche sulle sorti del paesaggio italiano?

«Certo. Nella riforma al codice Urbani prevedemmo una serie di cautele per tutelare il paesaggio, fra cui quella che prevedeva una supervisione delle sovrintendenze preposte prima dei vari interventi. Il problema è che orale sovrintendenze sono senza personale e chi c'è ha un'età media di quasi 60 anni. Mancano persino i soldi perché i soprintendenti possano visitare i luoghi da tutelare. La tutela del paesaggio si rivela così del tutto impossibile e si riflette nel degrado cui stiamo assistendo».

Ma il degrado del paesaggio italiano risiede solo nella contrazioni di assunzioni e risorse o ha anche qualche radice piantata nelle scelte politiche?

«Ci sono sicuramente anche ragioni politiche. Da trent'anni è stata reclamizzata l'idea che l'edilizia rappresenti il motore economico del Paese. E falso, tanto è vero che l'economia italiana oggi è ferma, lo dice Confindustria come la Bce. Questo modello non funziona, perché l'Italia è il Paese europeo con il più basso sviluppo demografico e il più alto consumo di suolo. Nella sola città di Roma ci sono centomila appartamenti invenduti costruiti negli ultimi cinque anni». Di questi trent'anni quale è stato il punto più basso e quale quello più alto? «11 punto più alto direi con Veltroni , perché aveva avuto alcune buone idee e aveva incrementato il finanziamenti. Il punto più basso con Bondi».

E ora?

«Direi che siamo di poco sopra lo zero: qualcosa in più di Bondi Galan l'ha cercato di fare».

Lei ha una cattedra al Prado, è membro di molte istituzioni culturali e museali, dall'American Academy of Arts and Sciences, al Comitato scientifico del Louvre fino al Mart. Come giudica la politica museale italiana?

«Purtroppo nelle istituzioni museali italiane sta prevalendo una corsa alla mostra del momento. Con la tendenza gravissima all'abbandono del patrimonio stabile del museo stesso. Ci sono tuttavia alcuni enti virtuosi che fanno eccezione, fra cui il Mart di Gabriella Belli.

Lei fa parte anche della commissione incaricata di individuare il successore della Belli. Avete quale nome in testa?

«Il Mart ha affidato alla società Kom Ferry il compito di fare una prima selezione di candidature. Che poi noi vaglieremo cercando di arrivare nel più breve tempo possibile alla nomina. Ci sono tre requisiti che il nuovo direttore dovrà avere, a mio giudizio. Una vera competenza nel campo della storia dell'arte contemporanea, suffragata da pubblicazioni scientifiche. Capacità di tipo comunicativo e manageriale e una straordinaria passione per questo lavoro».

 
Annalisa Dongilli


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