News/Approfondimenti > 04 novembre 2011

Progettare: rendere visibili problemi e opportunita’ per scegliere al meglio

A Trento le tesi di Antonio De Rossi (Politecnico di Torino) per la forma e la qualità degli spazi urbani

Di grande interesse la conferenza proposta ieri sera nell'Aula Magna di tsm, a Trento, da step_Scuola di governo del territorio del paesaggio.

Antonio De Rossi, ordinario di progettazione architettonica e urbana al Politecnico di Torino, presentando alcuni casi di studio realizzati nel capoluogo piemontese, ha proposto una dettagliata riflessione su quanto sia importante rendere visibili gli scenari in una progettazione di “grande scala”, dove, per “grande scala”, si intende mettere in relazione tutti gli “attori” di un territorio che sta subendo una trasformazione. Prefigurare le trasformazioni significa dare a tutti, operatori privati, pubblici, decisori politici, la possibilità di vedere i problemi ma anche le opportunità e di decidere quindi con consapevolezza complessiva, vedendo il quadro generale.

Secondo lo studioso questo paga sempre, nel senso che si raggiungono gli obiettivi di qualità nella progettazione e la condivisione permette delle relazioni molto importanti ai fini della gestione oculata del territorio.

“E’ importante - dice De Rossi - tenere le fila di tutti gli attori con la forma, con la morfologia delle cose, verificando tutto quanto c’è da verificare, scardinando logiche di veti incrociati. La configurazione serve a scardinare logiche che sono a monte. I conflitti si gestiscono per arrivare ad una progettazione condivisa.

E’ necessario lavorare molto sul processo di riconfigurazione”. Per spiegare cosa intende per “grande scala” il professore ha portato alcuni esempi come “La variante 200”, vale a dire la trasformazione dell’area nord di Torino per costruire la linea 2 della metropolitana.


L’attività di formazione della Scuola di governo del territorio e del paesaggio (voluta dalla Giunta provinciale per favorire gli importanti cambiamenti che il Trentino sta vivendo) ha toccato ieri sera uno dei nodi fondamentali della nostra contemporaneità e cioè la pianificazione delle grandi aree in un’ottica che tenga conto delle esigenze di tutti gli “attori” di quel territorio e che punti alla qualità urbana.

Chiara Bertoli, architetto trentino componente del Comitato scientifico di step, ha introdotto Antonio De Rossi che, oltre ad essere professore ordinario di progettazione architettonica e urbana è anche coordinatore del dottorato in architettura e progettazione edilizia sempre presso il Politecnico di Torino.

De Rossi è vicedirettore dell’Urban Center di Torino, vale a dire una struttura “terza” di accompagnamento progettuale che elabora scenari per le trasformazioni urbane. Ha elaborato, per esempio la variante 200 di Torino vale a dire tutto il lavoro di preparazione per contestualizzare la costruzione della linea 2 della metropolitana torinese. Lo studioso si occupa di trasformazione della città e del territorio, ma anche del progetto del paesaggio alpino contemporaneo.
De Rossi ha detto di invidiare molto la realtà di step, “sarebbe bello avere anche in Piemonte un luogo della formazione come questo”. Base del suo ragionamento è stata la qualità dello spazio pubblico contemporaneo, un tema molto difficile da realizzare ma di grande interesse per la vita pubblica urbana.
L’intervento diviso in più parti con una parte teorica e una di presentazione di progetti realizzati nella Torino degli anni Novanta e Duemila, ha messo in rilievo come sia fondamentale ripensare il processo di progettazione su “grande scala”, cioè intervenendo a monte delle trasformazioni di grandi aree.

Teorico dell’architettura della grande scala, il professor De Rossi tiene in grande considerazione la natura morfologica del territorio e ha illustrato alcuni esempi che hanno evidenziato “il problema della forma fisica di strutturazione delle trasformazioni contemporanei delle città e del territorio”. Un tema, secondo De Rossi, che ha avuto un’attenzione calante e che, fortunatamente, in tempi recenti sta avendo una nuova attenzione.

“Perché le trasformazioni recenti sono state molto in crisi rispetto alla morfologia del territorio e sono mancate una serie di riflessioni sulla pianificazione territoriale”.


“E’ importante segnalare l’assenza di progetti di ‘grande scala’. Così come - ha detto De Rossi - è necessario tenere in considerazione il tema della morfologia del territorio che deve essere incardinato nei processi economici e di governo politico del territorio. Cosa intendiamo per grande scala non fa riferimento alla grande progettazione, ai grandi piani (degli anni Ottanta e Novanta), non è un tema di natura dimensionale - ha continuato il professore - ma un’elaborazione di necessità in relazione a quanto è avvenuto negli ultimi anni. Ha a che fare con la dispersione insediativa (degli anni Novanta e Duemila) e con il grande tema del paesaggio: è stata utilizzata l’architettura come strumento regolatore del paesaggio”. Secondo lo studioso c’è un problema della crisi della forma, i modi con cui vengono progettate le cose. I progetti calano sul territorio che diventa un puzzle poco attinente al paesaggio. E i processi economici, spesso, mettono in crisi la morfologia del territorio. Forma e qualità fanno fatica a coesistere. C’è un'importante frammentazione dei processi decisionali che va esaminata con la dovuta competenza. “Bisogna cominciare a considerare, forma e qualità, come entità non parametrizzabili e proceduralizzabili”.


Ci sono molti elementi di crisi che mettono in rilievo un’assenza importante sulla trasformazione delle grandi aree. “L’intensità delle trasformazioni recenti - ha detto De Rossi - mette in discussione la trasformazione del territorio perché le strutture non riescono più a reggere l’intensità di queste trasformazioni. Non riusciamo a costruire nuove strutture di natura morfologica adeguata.

Oggi le trame, le intelaiature, le matrici cominciano a non funzionare più. Quando mi trovo ad operare con una grande città come Torino, mi rendo conto come rimangono in ombra alcune questioni caratteristiche della situazione italiana. Ci sono molte questioni importanti relative alla natura morfologica che non vengono colte nei processi di trasformazione e non riescono mai a diventare elemento base per trasformare”. Con una metodologia dettagliata che qui riassumiamo (per brevità) come un “lavoro di messa insieme dei progetti” di una stessa grande area, il professore ha sottolineato come “si mettono a fuoco delle strategie che vedono ‘l’attore pubblico’ e che sono capaci di costruire scenari su cui poter agire e operare le trasformazioni.

E’ determinante costruire scenari che facciano da sfondo a tutte le differenti progettualità”.


La questione principale è attirare risorse, massimizzare il progetto per porsi un problema di regie complessiva dal punto di vista morfologica. “Cosa voglio porre? Avere il progetto morfologico del territorio come elemento guida della trasformazione, utilizzare come canovaccio il progetto di natura morfologica, come elemento guida capace di portare a galla tutti i problemi. Quasi nessuna amministrazione italiana oggi pianifica in modo da capire cosa stia succedendo in tempo reale e servirebbe molto per capire quali sono le relazioni fra i vari attori del territorio”.


De Rossi ha sintetizzato le strategie operative della grande scala in riconoscimento, ricomposizione e raffigurazione. Ha poi portato l’esempio del piano paesistico della Regione Piemonte che è poi “ciò che state facendo nella Provincia autonoma con il Pup”.


“Ciò che abbiamo fatto all’interno del piano paesistico è interessarci al tema delle architetture della grande scala affinchè potessero essere elemento guida delle grandi architetture territoriali. Il Piemonte è un grande territorio ma simile, per moli versi, al Trentino. Abbiamo fatto un lavoro di ricostruzione delle logiche di pianificazione e di costruzione insediative con uno sguardo alla forma. Quello che abbiamo provato a fare - ha illustrato il professore - è mettere insieme tutte le grandi architetture, metterle in tensione con la matrice geologica del territorio per capirne le connotazioni di forma fisica. Tema banale ma non così frequentato. In questo modo abbiamo messo il nostro progetto (con le connotazione di forma fisica) in tensione con le dinamiche della progettazione territoriale vedendo quali sono state le evoluzioni recenti. Abbiamo provato a leggere queste trasformazioni e nei punti di estrema tensione, per esempio il “pedemonte”, abbiamo provato a leggerle e intrecciarle a dei temi che fanno riferimento alle strutturazione di carattere vallivo e collinari. Costruendo così possibili indirizzi e regole di comportamento sia rispetto alle dinamiche del territorio che del suolo. Ne sono uscite una serie di carte che prima non esistevano.

Questo ha portato ad alcune azioni territoriali strategiche. Poi - ha proseguito De Rossi - abbiamo provato a ricondurre come tutte le differenti situazioni insediative fossero riconducibile ad una sorta di manuale di buone pratiche. Abbiamo individuato delle famiglie di possibili strutture insediative e su questo abbiamo costruito un manuale che facesse riferimento ai bisogni trovando le possibili risposte a quelli che erano i problemi. Questo è quanto realizzato per i 1207 Comuni del Piemonte in modo che possano avere dei riferimenti di soluzioni per i vari problemi. Dalla grande scala di natura territoriale siamo poi arrivati a un più tradizionale manuale di buon pratiche di natura edilizia (più tradizionale).

Quello che trovavo interessante è il tentativo di delineare rispetto alle macro aree del territorio delle indicazioni di natura puntuale, perché crediamo che questo tema sia completamente sottovalutato nella pianificazione territoriale. Il piano paesistico ha avuto dei problemi di natura politica (passaggio da un’amministrazione ad un’altra) ma i manuali di buone pratiche sono diventati il substrato su cui costruire. In una realtà di 1207 Comuni formare una realtà di tecnici che applichino le buone pratiche non è facile come lo dovrebbe essere per voi qui in Trentino con 16 Comunità di Valle”.
Antonio De Rossi ha poi posto l’attenzione sul progetto denominato “La variante 200, la trasformazione dell’area nord di Torino”.
In premessa ha parlato della trasformazione di Torino che dal 1996, con piano regolatore fatto da Gregotti e associati ha iniziato la grande metamorfosi. Una città che aveva bisogno di trasformarsi in maniera radicale. Erano 100.000 i lavoratori di FIAT negli anni Settanta. Una monocultura industriale pesantissima, che ha comportato delle conseguenze molto importanti e pesanti. “La città -sottolinea De Rossi - era un’infrastruttura in funzione della fabbrica.

Poi c’è stato il grande dinamismo negli anni Novanta. Il primo piano strategico ha cercato di mettere in moto gli attori del territorio per far riprendere una città che era molto schiacciata sulla monocultura FIAT. Torino è riuscita a rimettersi in piedi grazie ad un apparato dirigenziale di vecchio stampo, grazie ai finanziamenti europei e un’oculata gestione dell’evento olimpionico. Torino ha ancora un problema di qualità architettonica”.

Con l’ausilio di un power point ha evidenziato alcuni progetti come il “Progetto delle Spine” (2.000.000 di metri quadri), grandi piastre, grandi aree di milioni di metri quadri da trasformare. “Ad un certo punto - ha detto il professore - c’è stato un grande dibattito sulla qualità urbana e è nato un presidio, nel 2005: la città e la Fondazione Compagnia di San Paolo hanno cominciato a confrontarsi.

E’ nato l’Urban Center che fa formazione ma fa anche un’attività diversa che chiamiamo di accompagnamento dei progetti. Non solo di animazione culturale ma un’attività di supporto ai progetti di trasformazione della città. L’importante è che l’Urban Center non sia diventato l’ennesima struttura che appone un timbro su un progetto. Avere un luogo di discussione ma soprattutto di supporto alla progettazione, questo era l’obiettivo. Le azioni strategiche sono una triade composta da ricomposizione, prefigurazione e progetto.

Un dato banale - ha sottolineato De Rossi - è che si risponde a un progetto di natura privata con altri progetti e il problema diventa di massimizzazione gli obiettivi dell’attività pubblica dei progetti. Allora, alla forma, si risponde con la forma e si mettono delle prefigurazioni diverse per massimizzare gli obiettivi. Lavorando su questo abbiamo capito che questa attività di prefigurazione diventava molto utile rispetto alla pianificazione su ‘grande scala’. Noi cosa facciamo? Rimettiamo insieme i progetti e il progetto morfologico diventa il filo rosso del processo perché mettere insieme i progetti e ricomporli permette di capire dove è il nodo. E’ una pratica molto efficace”.


L’Urban Center non è intervenuto solo a Torino ma anche in altri centri del Piemonte.


La Variante 200 è la costruzione della seconda linea della metropolitana di Torino (area nord): 9.000.000 di metri cubi è l'oggetto delle cose. “Che cos’ha fatto l’Urban Center in questa area? Ha costruito un’immagine sintetica di natura morfologica che mettesse in rilievo tutto quanto fosse necessario a tutti gli attori del territorio partendo dal piano regolatore. Il problema - ha sottolineato De Rossi - era di rendere visibile le opportunità e le occasioni e quindi costruire delle figure morfologiche che rendessero visibili tutti i problemi. Il nodo centrale era costruire un progetto che rendesse visibili i problemi del progetto.

Rendere visibile significa ricomporre, fornire una chiave di lettura inaspettata e oltre al lavoro di creazione di immagini sintetiche c’è anche un lavoro di messa insieme dei progetti. Non si rimette insieme solo per l’efficienza ma si ricompone per far vedere i problemi. L’obiettivo è quello di far vedere dove si stia andando e in questo modo si possono fare leggere le alternative perché ciò aiuti gli attori politici e decisionali a prendere delle decisioni, operare delle scelte per costruire delle modalità di tavola e tramite la raffigurazione cercare di traguardare la soluzione delle cose. Costruire delle successioni che non sono mai figurate ma che aiutano gli attori a leggere meglio l’evoluzione e le possibili evoluzione.”.

Cercare di tenere aggiornata la dimensione temporale è uno degli altri obiettivi dell’Urban Center, soprattutto sui progetti complessi. “Governare tutti gli attori - sottolinea il vicedirettore dell’Urban Center - è un altro problema perché c’è una frammentazione molto vasta: ci sono privati, ci sono attori molto difficili da portare al tavolo (come magari le Ferrovie dello Stato), enti pubblici locali… . In ogni caso prefigurazione e morfologia urbana sono dimensioni irrinunciabile della contemporaneità, il tema della forma e della morfologia ha un valore quando riusciamo a inserirla nel tessuto economico urbano''.

Il tema dell’architettura di ‘grande scala’, secondo il professore, è necessaria nell’architettura contemporanea e c’è bisogno di un ripensamento.

''Come costruire la dimensione della città pubblica contemporanea attraverso gli interventi di privati o finanziamenti pubblici intrecciati con i privati, questa è la grande sfida di oggi. Richiede una radicale inversione di rotta, salvo le differenti situazione locali. Torino - ha concluso Antonio De Rossi - ha tentato di tenere una ‘mano pubblica molte forte’, cioè di tener viva la possibilità di far colloquiare i vari attori, garantendo condizioni particolari.

C’è bisogno di un’inversione di rotta rispetto al ruolo che l’attore pubblico ha avuto negli ultimi trent’anni. E’ necessario un attore pubblico forte che garantisca al privato una serie di rispetto delle regole e che ottenga come contropartita (dal privato) il tentativo di costruzione della città”. (fs)





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